A due mesi di distanza dalla data milanese dello scorso settembre tornano in Italia i canadesi Crystal Castles, ed è alto l’interesse per assistere dal vivo al perfetto connubio tra le iconoclastiche musiche di Ethan Kath, e la carismatica voce della ventiduenne Alice Glass. è stato infatti grazie alle caotiche esibizioni dal vivo che il duo è riuscito fin da subito ad assurgere a fenomeno di culto internazionale, e a mantenere tale status fino alla pubblicazione del loro secondo omonimo album, distribuito lo scorso aprile ed acclamato quasi dall’intera critica mondiale.
Ad aprire la serata gli insipidi Male Bonding, autori di un imbarazzante punk-rock trascinatosi per oltre mezz’ora tra riff triti e ritmiche scontate; a completare il quadro le anonime voci del chitarrista dal look nerd à la Steve Albini, e del bassista, salito sul palco con tanto di maglione sformato, jeans strappati e capigliatura à la Kurt Cobain, il cui colore sbiadito ricordava disgraziatamente che il grunge non è morto, ma solamente stanco, vecchio e decrepito.
Sono circa le 23.30 quando uno dei responsabili dell’Estragon prende la parola, annunciando l’inizio del concerto e informando il pubblico riguardo le non eccellenti condizioni fisiche della Glass (un infortunio alla caviglia che necessiterebbe di cure immediate). L’accoglienza di tutta la platea è dunque calorosissima e sentita, prima che nel giro di pochi secondi Kath faccia il suo ingresso, e travolga tutti i presenti con valanghe di suoni noise e scariche di luci e flash epilettici. è la perfetta introduzione per la caustica “Fainting Spell”, seguita dal singolo “Baptism”, accolto con un’ovazione dal pubblico trasformatosi ormai in una bolgia di corpi densi di sudore. Saranno del resto pochi gli attimi di respiro concessi, come nel caso della dolcissima “Celestica”, o dell’evanescente “Vietnam”.
La scaletta prosegue inarrestabile, mostrando un’interessante soluzione di continuità con la quale la band di Toronto mescola sapiente i nuovi brani a quelli dell’esordio. Alice urla, balla, grida, salta, ed è solo per la mancanza dei suoi tipici stage-diving che non ci scordiamo delle sue attuali condizioni fisiche, mentre un Ethan immobile dietro le sue tastiere, riesce a far guadagnare ai pezzi un impatto maggiore rispetto a quello proposto su disco, anche grazie all’apporto di un batterista.
“Year of Silence”, ipnotica e apocalittica, viene accolta se possibile con quasi più entusiasmo della celebre “Alice Practice”, e l’incredibile volume dei bassi è lì a rendergliene ragione. Idem per “Crimewave”, cantata in coro da tutto il pubblico, e per altri pezzi cardine del duo, come “Black Panther”, “Courtship Dating” e “Reckless”, quest’ultimo dotato di un’energia tale che sarebbe potuto tranquillamente non finire più.
Ma è su un ritmico tripudio di luci che la stupenda “Empathy” porta la serata al suo apice, e l’effetto si ripete magnificamente su Intimate, brano letteralmente in grado di far saltare e battere le mani all’intero Estragon, locale spesso ingiustamente accusato di una cattiva acustica, ma che si rivela invece perfettamente adatto alle incredibili sonorità sopra descritte.
Con l’ancora inedita “Yes/No”, conclusa tra lunghe code di feedback e riverberi, giunge purtroppo al suo termine quello che è stato il live intenso e compatto di una vera e propria macchina da concerto; una band capace, senza la minima inibizione, di mescolare furia punk, follie techno-pop e robotiche scorribande verso i ruvidi territori dell’elettronica hardcore. Imperdibili.
Photo: Jared eberhardt / CC BY-SA