Vivere e crescere nella valle delle bambole e scomparire a Glasgow o in qualsiasi altra città di questa Inghilterra che capitalizza la tristezza come patrimonio nazionale.
La Rough Trade mette le mani su quattro ragazze di Los Angeles che fanno molto più che fissare la punta delle proprie scarpe, per quanto riesca loro bene. I pigri dicono XX, dimenticando che in “The Fool” è tutto molto più suonato, e i filologi dicono Raincoats. Gli ultimi tre minuti di “Undertow” dicono Cat Power che canta gli Stone Roses.
Al di là dei dovuti richiami storici- la copertina del resto è un omaggio agli anni ottanta migliori- o delle concessioni mnemoniche di breve termine, qui le cose si fanno più complicate.
La tradizione psichedelica californiana si apre alla retorica del post-punk, ma nonostante la dilatazione delle tracce che sfidano il minutaggio asfittico delle radio, i toni restano bassi; una questione da film horror in seconda serata più che di che di confronti pubblici tesi e arrabbiati.
Queste ragazze scrivono musica in un orizzonte palesemente derivativo; il problema è che per smascherare le Warpaint ci vogliono colate di inchiostro simpatico. Perchè quando le ascolti non pensi tanto ai padri che le hanno generate quanto agli amanti che le hanno evidentemente sconfitte.
Escluse “Undertow”, che tenta l’aggancio mainstream con una grammatica tutto sommato semplice, e “Baby”, candidata a ballata scomposta e vagamente minatoria del 2010, il resto è una costruzione circolare di canzoni che non erompono mai in superficie: niente si risolve e nulla si concede.
“The Fool” è crudele nei vertici (“Set Your Arms Down”, “Shadows”) e dignitoso nelle sfere inferiori (“Majesty”), ma è sempre attraversato da una richiesta di attenzione e di urgenza. E’ un disco di una bellezza comprensibile ed è contemporaneamente la storia delle nostre contrazioni oscure.
La condizione propria di certe canzoni è l’autismo.
Niente di questo può farci sentire meglio.
In definitiva, l’esordio dell’anno.