Oramai non ci sono più dubbi, dopo l’enorme successo e il conseguente deflagramento silenzioso e sperimentale dei Radiohead, le schegge (non impazzite) di quest’enorme formazione ancora girano nella struttura spasimante di essa, e conservano orgogliose quella delicatezza malata di marca che li ha portati al contributo più alto del rock moderno degli ultimi decenni.
Philip Selway, batterista e terza voce della band, come a rivendicare un ruolo meno marginale e affermarsi come identità forte oltre le pelli e la personalità emaciata di Yorke, imbraccia una chitarra acustica, chiama a raccolta un pugno di amici, il multistrumentista Patrick Sansone, Sebastian Steinberg (Soul Coughing), Lisa Germano e Glenn Kotche (Wilco) e debutta come un novello menestrello in “Familial”, una decina di tracce appese su ballate intime e folk non tradizionali veramente semplici ed eleganti, di quella morbida e ombrosa tessitura necessaria per potersi permettere, senza timori reverenziali, di vibrare autonomamente senza disturbare i grandi venti.
Poche sono le connotazioni o le approssimazioni liriche e poetali, se non per “By Some Miracle”, “Don’t Look Down” che lo possano riagganciare al rockdrama del gruppo madre, piuttosto un avvicinamento in soppiatto alle circospezioni e le fragilità di Bon Iver o ad un Drake sui crinali emotivi “Beyond Reason”, “Patron Saint”; nessuna soluzione stravagante e poca orecchiabilità vivono in queste piste, un soliloquio sommesso e spartano che pare svanire da un momento all’altro, ma è un’impressione flebile perchè a poco a poco ci si assuefà alle sue tele impalpabili finchè non diviene assolutamente indispensabile ascoltarlo tutto da capo.
Ritrovare il ritmista delle convulsioni d’anima dei Radiohead nei sentieri autunnali “Falling”, “Broken promises”, e quasi penitenti del folk intimista e a tratti misogino, può far storcere la bocca alle tante e latenti tensioni che ancora non hanno mai abbandonato del tutto gli aguzzini deferenti di “Karma Police” o “Creep”, ma Selway taglia corto per una sua via personale e interiore, una ricerca in sordina di quello che più gli pesa dentro abbandonandosi, come una foglia che ha combattuto tempeste, tra le armonie lente di una spiritualità di scorta.
E’ un disco di quelli che ce n’è sempre bisogno.
Credit Foto: Phil Sharp