I Broken Records sono sei ragazzi scozzesi di Edimburgo e “Let Me come Home” è il loro secondo album, dopo “Until The Earth Begins To Part” uscito nel 2009, sempre con l’etichetta 4AD; quindi origine controllata ed etichetta prestigiosa.

Ci sono poi le lodi sperticate del New Musical Express che li ha definiti ‘gli Arcade Fire di Scozia’ e i martellanti passaggi sulla BBC; se non bastasse, gli stessi interessati hanno dichiarato di essersi ispirati al Bruce Springsteen di “Nebraska”, al Nick Cave di “Murder Ballads” e ai primi REM. Troppa grazia dico io, così decido di recensirli a scatola chiusa ma già  alle prime notizie raccolte sulla band, qualcosa mi fa storcere il naso: nella line up ci sono come elementi fissi violoncello e piano e nessuno ne è mai uscito vivo, a parte Cave e i Velvet Underground. Chissà  penso, magari siamo di fronte al genio! Invece no, “Let Me come Home” è un disco pieno di suoni e idee, tante, troppe, ciò che viene fuori è qualcosa di già  sentito, a volte trito al limite del parossismo e comunque niente che faccia pensare all’irruenza e alla viscerale passione di Win Butler e soci, per dire; per quanto riguarda i mostri sacri di cui sopra lasciamo stare per carità .

Semmai i Broken Records appaiono come una riedizione dei Killers, senza averne la carica mainstream, ciò appare lampante nella canzone migliore del lotto, “A Darkness Rises Up” che richiama da vicino le atmosfere di “Sam’s Town” della band di Las Vegas (come giustamente sottolineato da Pitchfork). Ci sarebbero anche brani piacevoli, ad esempio la romantica “Ailene” e “I Used to Dream” ma la sensazione di scopiazzatura che si portano dietro riesce solo ad acuire il malessere nell’ascoltatore già  parecchio provato dalla pomposità  e dalla boria sorbita.

Oggi, più che mai, provo grande nostalgia per quella Scozia che ho conosciuto grazie ad una band come gli Arab Strap e che, a quanto pare, non è più in gran voga tra chi ne ‘capisce’ di musica rock.