Nella musica dei The Decemberists ci sono sempre entrato a metà , conquistato dalla voce di Colin Meloy, mai conquistato a fondo dalle architetture delle loro canzoni. Il fatto è che ho sempre avuto una propensione ad amare le cose più semplici e, quando hai una voce così emotiva, non hai bisogno di complicarti le cose per fare un bel disco. Opinione personalissima la mia, ma il dato di fatto è che a questo giro la band ha scelto la via del folk acustico, dando alle stampe il disco più semplice che potessero pensare.
Trattasi di un lavoro a suo modo piacevolmente ‘subdolo’ che riesce, pur non regalando momenti particolarmente memorabili, a ritagliarsi un numero elevato di ascolti senza stancare. Influente, ma non poteva andare diversamente, la presenza di Peter Buck dei R.E.M. come ospite alla chitarra; praticamente “Calamity Song” sembra presa in prestito dal catalogo sommerso della band di Athens nel periodo “Murmur/Green”. La stessa cosa accade, anche se in tono minore, negli episodi in cui la chitarra elettrica è più in evidenza, come in “Down By The Water”; per il resto, la prospettiva è molto più vicina al folk classico di un Neil Young.
“The King Is Dead” lascerà probabilmente perplessa una grossa fetta dei fan della prima ora, come è fisiologico che accada nel percorso artistico di una band abbastanza influente. Non siamo al cospetto di un disco clamoroso, ma dopo le derive quasi prog del precedente capitolo c’è da restare più che ottimisti. Il Re è morto e nemmeno ce ne siamo accorti.