9341 kilometri, quelli da Roma a Portland, colmati in un istante da Laura Veirs, Tim Young e Alex Guy. Due braccia grandi dal “‘cuppolone’ al North west americano, due braccia che finiscono su una chitarra per raccogliere in poco più di un’ora di tempo lo spirito evocativo del folk d’oltre oceano. Ammetto di essere entrata da ascoltatrice scettica di Laura Veirs, quasi come fosse l’ennesimo prodotto nato da ibridazione tra Tori Amos e Bob Dylan e ammetto anche di essermi ricreduta grazie alla capacità dei tre di saperci parlare in modo schietto, inaspettatamente vivace, autentico ed emotivamente coinvolgente.
Laura Veirs è il nastro buono che gira nel mangiacassette sfondato, di un’auto sfondata su strade deserte lunghe un continente. Più che spalla è una compagna di viaggio “Led to Sea”, ovvero sempre la stessa Guy che presenta il suo progetto solista: un sound essenziale, intimista, un tessuto di viola e voce vibrante e scarno di orpelli ma sufficientemente convincente per introdurre la Veirs. Siamo in territori genuinamente folk, senza troppe sorprese, quelli già proposti dalla cantautrice dell’Oregon che non pesca però in un repertorio datato ma offre con variazioni sul tema una selezione dall’ultimo disco “July Flame”. “Wide Eyed”, “Legless”; “Where Are You Driving”, “Life Is Good Blues” e poi l’adorabile “Carol Kaye” e naturalmente il singolo omonimo sulle quali siamo tutti invitati a cantare.
Immancabile il banjo come un paio di cover tra cui il traditional All the pretty little horses, storia di schiavi afroamericani a ricordarci che siamo sempre in pieno clima country, piacevolmente ‘on the road’ in bilico tra presente e passato.
La voce della Veirs è obliqua, non pretenziosa, Young e Guy essenziali musicalmente e idealmente per dare consistenza alle composizioni, architettura sbilenca di un ponte virtuale fra tradizione e contemporaneità .
Di sicuro ci sarà chi si è lamentato della durata del concerto, ma quando si tratta di musica sono convinta più che mai che bisogna porsi l’epico -e a tutti ben noto- interrogativo : E’ una questione di qualità o una formalità ?. Per me senza dubbio la prima, per gli altri direi che ‘la risposta è dentro di voi’, posso solo sperare non sia quella sbagliata.