We Are The Lilies
S/T

Avete per caso sentito dire di dischi, congetture sonore, meccanismi fusion o scambismi pentagrammici che abbiamo mai sofferto di jetleg, ossidazioni transoceaniche o che dire, di timorazioni indotte da ‘perniciose contaminazioni ?’. Mai, è questo quello che volevo sentirmi rispondere, e allora apriamoci anche a questo preciso e schizzatissimo progetto che ““ complice una galeotta intervista radiofonica ““ da vita ad un sodalizio alla “due mondi” che vede interpreti principali David Sztanke, cantante della band indie parigina Tahiti Boys And The Palm Tree Family e Sergio Dias dei brasiliani Os Mutantes, ed una piccola ‘revolucion cariochindie’ a tempo determinato si va a spalmare in un apprezzamento imprevedibile e a suo modo cool.

Non ci sono velleità  di instaurare ulteriori filologie modaiole ““ almeno si crede ““ ma solo profumi di goduria, divertimento e goliardia pan-sonica da usare tra uno spuntino a bordo vasca da bagno o come carica preparatoria prima di un ennesimo colloquio di lavoro; linguaggi, espressioni, intendimenti e filigrane geografiche s’intrecciano in parabole indie che fanno stretching popdelico tirando in ballo ospitate eccezionali come l’Iguana Iggy nelle convulsioni di “Why?” e l’immarcescente dolcezza di Jane Birkin che struscia lussuriosamente in “Marie”.

Il progetto We Are The Lilies non vive di caratteri cubitali e appartiene a quegli ascolti non troppo cerebrali, ma si appiccica rapidamente sottopelle come solo i b-side sanno fare, più che per protagonismo per dote innocente della franchezza senza tanti additivi; il boom degli anni sessanta da forma e sostanza alla quadratura della tracklist, come i Beatles, Leo Sawyer o Elton John che ondeggiano cherubini in “Over My Head”, una concessione ariosa alla tradizione brasileira “Bahia”, e le nervose mosse funky di un Joe Tex “O Mar” che prediligono il riscontro massimo alle corti di James Brown.

Tutto qui, una mixture a suo modo carboidratica che non chiede altro che essere assunta almeno una volta al giorno come una disgressione felice tra un dire e un fare.