Dopo aver sperimentato ogni tipo di formato possibile, dopo mp3, Ep, 7″ e persino cassette, Banjo Or Freakout dà alle stampe il ‘disco d’esordio’ (edito anche in vinile ovviamente). Fa un certo effetto parlare di esordio per un musicista che negli ultimi due anni è stato attivissimo e prolifico come pochi altri, occupandosi. oltre che della propria musica, anche della produzione di dischi altrui e di diversi remix di personaggi più o meno famosi.
Dietro la sigla Banjo Or Freakout si nasconde Alessio Natalizia, già voce e chitarra dei Disco Drive, che nel 2009 presi sei corde e bagagli si è stabilito a Londra e lì ha iniziato a smanettare con programmi e qualche sintetizzatore attorno a melodie vellutate che uscivano via via dalla sua fervida mente. Nascono così gemme dall’incredibile scioglievolezza come “Upside Down” o il primo volume di “Way Slow” per la casa discografica Lefse, piccoli fragilissimi pezzi che mostrano un talento grande e un’attitudine quanto mai pop.
Oggi quell’attitudine riesce a dispiegarsi in tutta la sua potenza, trovando sbocco in un’opera certamente più uniforme delle precedenti e ben indirizzata da Nicolas Verhens, già produttore di Deerhunter e Animal Collective. L’obiettivo è quello di realizzare canzoni pop degli anni Dieci partendo da basi dream-pop, kraut, l’elettronica alla Atlas Sound e la recente infatuazione per Arthur Russell. Il risultato finale è un disco godibilissimo ma ancora da perfezionare, con picchi assoluti di ispirazione nello shoegazing di “Move Out”, l’intreccio di voci di “Idiot Rain” e il soffuso chitarrismo di “Black Scratches”. Di certo un’opera che non farà ricredere coloro che già si erano mossi in favore del “nostro”: media del calibro NME e Pitchfork, ad ennesima dimostrazione che avvicinarsi al centro dell’Impero aiuta e l’inglese serve sempre.
Banjo Or Freakout farà parlare di sè, nel frattempo è già in tour con i Go! Team su e giù per il Regno Unito, in attesa di salpare per gli States ad aprile; speriamo si ricordi anche della derelitta Terra Natia.