Stavamo aspettando ancora in questo inizio anno qualcosa che ci riportasse al floridissimo scenario di nuovo surf-rock che negli ultimi tempi ha portato ‘sulla cresta’ dell’onda band come Best Coast, Wavves, Real Estate e via dicendo, influenzando anche gli MGMT, facendoli scendere da quella nuvola di elettronica che si erano creati. Gli overdrive settari sul low allentano considerevolmente la tensione, dando spazio ad evoluzioni ‘fuzz-ate, flanger-ate e vibes-ate’, a cavallo tra Surfer Blood e i nuovissimi Big Troubles.
I pezzi si susseguono senza intervalli, e il cantato è grezzo come quello di Nathan Williams, ma c’è molto controllo sul dosaggio dei volumi e sull’impasto vocale, patrimonio acquisito grazie alle lezioni di Born Ruffians e Tokyo Police Club.
Ponti sulfurei e carrellate di basso/batteria fanno pensare ad un proseguimento concettuale a quello che è stato The Pains Of Being Pure At Heart, opera prima dell’omonima band, che ha miscelato l’impronta No-Wave di Echo & The Bunnymen e The Jesus And Mary Chain con il suddetto surf, distorto alla Dinosaur Jr. ed innaffiato di calore da teenager degli anni 80.
In attesa del ritorno dei The Pains Of Being Pure At Heart, Cloud Nothings è un ottimo lavoro da ascoltare, mettere in stereo o in cuffia per la city.
Dopo una ventina di minuti emerge la bravura nel richiamo a sonorità conosciute, un drink di punk e ballate 60’s, come quelle che ci propinano i Girls in “Girls” o “Broken Dreams Club”.
La cosa che mi fa più piacere è che il surf dei Cloud Nothings sia lontano da quello indotto e trendy dei TheMorningBenders, i finto nuovi BeachBoys. Gli ultimi pezzi sono ancora più punk dei gruppi ad ispirazione punk sopracitati. La tracce tirate, che dignitosamente riescono a non essere mai paragonabili all’inconsistenza di TheKooks e simili, si protraggono fino alla chiusura, per suggellare un disco breve ed intenso, come i momenti rappresentativi delle giovinezza passata in giro per locali e spiagge a suonare strumenti vintage non curandosi, sprezzanti, del domani.