Inconfutabile. Potremmo parlare pure degli Abba o dei Radiohead, ma quante volte succede che sia per una circostanza particolare che ci si innamora di un gruppo, di un disco, o anche solo di una canzone. E poi tutte le infinite volte che la risentiamo, il primo pensiero scivola verso quella particolare occasione, inesorabilmente. Verso quel momento con quella persona. O, come per i Devotchka per me, verso un film. Indissolubilmente legati alle immagini di “Little Miss Sunshine”, non un capolavoro, ma sicuramente uno di quei film che ti riconcilia con la vita. E mi prendesse un fulmine all’istante se non ce ne fosse bisogno, ogni giorno di più, di questi additivi, assolutamente non nocivi, per risollevare il nostro morale.
E l’effetto per fortuna non è svanito, si ripresenta pure con questa loro ultima fatica, un sesto album di studio in una carriera lunga ormai 14 anni. La musica del quartetto, originario del Colorado, una squadratissima nazione ben incastrata al centro degli Stati Uniti, tradisce sicuramente la propria origine d’oltreoceano, ma è palesemente attraversata da influenze che arrivano da ogni angolo del mondo, sicuramente dal vicino Mexico, come dall’est europeo e dal Sudamerica, accostate tutte con spavalda incuranza. Nessuna filologia pedante alla A Hawk And A Hacksaw, o coolness lounge trita&ritrita alla Gotan Project. Piuttosto una equa distanza tra la moderazione elegante e colta dei Calexico da una parte e l’irruenza punk estrema e cacofonica dei Gogol Bordello dall’altra.
Fiati e fisarmoniche, bandoneon e violini, su tappeti ritmici di chitarre e percussioni varie assortite, accarezzati da tocchi di pianoforte e tastiere d’organo, a riempire, spesso fin oltre il limite necessario, una musica densa, intensa e calda. Su tutto, la voce inconfondibile di Nick Urata, un marchio di fabbrica ormai, a rendere immediatamente riconoscibile uno qualsiasi dei loro pezzi, che sia un simil-tango contaminato pesantemente con il rock come “The Man From San Sebastian”, o una serenata messicana dolce e melodrammatica come “Bad Luck Heels”, eccessivi e incontenibili come in “The Common Good” o magicamente capaci della giusta misura come in “100 Other Lovers”.
Palesemente esagerati, spesso e volentieri, ma perfetti per accompagnare le danze di un matrimonio rubato ad un film di Kusturica girato in terra d’America, o l’ultima avventura paradossale girata da Wes Anderson in qualche paese balcanico. O per permetterci di sognare ad occhi aperti, regalandoci la colonna sonora per il nostro viaggio, alla ricerca dell’occasione per realizzare un sogno, come la piccola Olive, incurante e forse fortificata dalle alterne vicende che possono cascare addosso lunga la strada. Ottimismo ad oltranza, o beata incoscienza che sia.
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2. All the Sand In All the Sea
3. 100 Other Lovers
4. The Common Good
5. Interlude 1
6. The Man From San Sebastian
7. Exhaustible
8. Interlude 2
9. Bad Luck Heels
10. Ruthless
11. Contrabanda
12. Sunshine
Ascolta “Contrabanda”