Partiamo dal finale. Può un gruppo essere incensato ed ottenere grandi riscontri dalla critica con dischi sostanzialmente fiacchi ed eccessivamente derivativi e poi cadere nel dimenticatoio un attimo prima di uscirsene con qualcosa di veramente valido? Può essere sopravvalutato per circa cinque anni e quando tutti si son già scordati di lui pubblicare nel disinteresse generale una vera e propria bomba? Può passare dall’essere una stella luminosa all’essere un gruppo che non ti ricordi se esista ancora oppure se si sia sciolto senza che tu ne leggessi notizia in rete? Sì, se il gruppo in questione ha probabilmente sofferto di “sovraesposizione in certi circuiti indie-snob”, “eccessiva pressione causata da questa sovraesposizione”, “perdita della voglia di rischiare per cercare di ricalcare modelli di successo nei suddetti circuiti indie-snob”, “replicare una formula che dopo due soli album ti sembra già replicata per dieci album, il che è tutto un dire”. Anche perchè una volta terminata la pressione il gruppo si sente libero di fare ciò che vuole veramente ed i risultati si vedono ““ soprattutto se a quanto pare il gruppo in questione ha sempre saputo incendiare i palchi durante le proprie esibizioni dal vivo ma per i suddetti motivi non è mai riuscito a catturare su disco l’energia sprigionata live. Facile no?
Entriamo a questo punto nello specifico. Chi se lo sarebbe aspettato un disco così dai WhoMadeWho? No, dico: han fatto un primo disco che aveva il suo pezzo forte in una cover di “Satisfaction” di Benny Benassi e null’altro di rilevante, un secondo disco che suonava talmente anonimo che me ne son scordato subito ed ora se ne escono con questo “Knee Deep”? è lampante che i WhoMadeWho si sono liberati di botto della propria ansia da prestazione, se ne sono fregati di tutto e tutti, hanno deciso finalmente di rischiare ed il risultato è stato una cosa ballabile ma a tratti psichedelica, scura e minacciosa, tipo quell’allegrone di Ian Curtis che non si impicca e continua la carriera con i Joy Division volando ad Ibiza ad incidere qualcosa di analogo a “Technique” dei New Order, i !!! in paranoia perchè troppo stonati di Roipnol & champagne oppure degli ipotetici Primal Scream che dopo “Screamadelica” buttano a mare la loro collezione di dischi dei Rolling Stones e scelgono di suonare dance in tutto e per tutto.
Cercare di definire un disco attraverso similitudini è divertente ed appaga il proprio ego deviato, ma mai come in un caso come questo appare riduttivo: “Knee Deep” suona personale ed ascoltandolo ti rendi conto che dietro ad ogni nota c’è una band che ci mette dentro tutta la propria passione e che crede nel suono che riesce a sprigionare, che non si limita ad esplorare tutte le sfumature di un determinato genere musicale ma che vede talmente in prospettiva che quando sei quasi vicino a decifrarne le prossime mosse passa ad altro, sparigliando le carte in tavola e di conseguenza annientando ogni tua velleità di comprendere basandoti su modelli già codificati da altri gruppi in passato (sentirsi ad esempio come entrano synth che sembrano usciti da una puntata a caso di Miami Vice nel groove di “Musketeer”, oppure come ti narcotizzano con la balearic-gabba di “All That I Am” o con i synth belli acidi di “Two Feet Off Ground” . Ed il bello è che è un disco che finisci di riascoltarlo e ricominci subito. Dico io, con quali altri dischi usciti negli ultimi tre anni è successo lo stesso? Si contano sulle punte delle dita, mi sa). Il prossimo disco solista di quel simpatico ciccia-ciccia-ciccione di James LCD Soundsystem Murphy dovrà suonare così oppure non avrà senso di esistere.
Da qualunque parte la si voglia vedere questa è roba che ti spiazza, e per capirla bisogna solo ascoltarla con attenzione oppure ballarla facendosi poche menate. Speriamo solo che la gente troppo impegnata a scaricare compulsivamente dischi nuovi non trascini questo “Knee Deep” troppo presto nel cestino. Sarebbe davvero un peccato perderselo.