“Marble Son” è un disco in cui sono entrato malvolentieri e ancora oggi lo ascolto più per dovere che per piacere. La cosa singolare è che siamo al cospetto di un lavoro tutto sommato sufficiente; le mie resistenze sono dovute a sensazioni “epidermiche” poco appaganti con la musica che propone. A volte sono i dischi a venire da noi, in questo caso io e lui giriamo alla larga l’uno dall’altro. Era una precisazione doverosa da fare perchè quanto segue è frutto di un grande sforzo personale: amettere due righe in fila senza l’aiuto dell’emotività che di solito comunica un ascolto è spesso un’impresa titanica.
Poco meno di un’ora (pure troppo) di folk dalle tinte fosche, vicino alla tradizione americana classica, tra ballate alcoliche e cavalcate elettriche. Onde sinusoidali di concolamata eleganza in cui affondano le armonie vocali sottili e sbilenche di Jesse Sykes. Niente di nuovo sotto il sole, il tutto pare anche troppo pastoso e diluito per essere convincente al cento per cento. Una fatica, almeno per il sottoscritto, arrivare in fondo alla scaletta senza essere preda degli sbadigli. Una bella prova calligrafica di folk-rock, un po’ prolissa e autoindulgente. Nessuna emozione all’orizzonte, magari qualcuno sarà più fortunato di me e ci troverà qualcosa di più ‘vivo’.