Nulla, niente, vuoto, sterile, inutile, privo di idee, inconsistente, molle, impalpabile, debole, fiacco, noioso, lagnoso, insopportabile, fastidioso, soporifero, insulso, una minestra che si era troppo stanchi per riscaldare come si deve. Ecco, l’ultimo disco dei Death Cab For Cutie, “Codes And Keys”, è così.
è qualcosa di cui non si ha nemmeno voglia di parlare, figuriamoci di ascoltare. Senza il più piccolo appiglio a cui aggrapparsi per iniziare a trovare qualcosa di buono che possa salvarlo. Le melodie e i suoni più scontati del mondo mascherati da una presunta voglia di tornare alle atmosfere di “Transatlanticism”.
Ma il risultato è, in realtà , una proiezione sbiadita e sbilenca di “Narrow Stairs”, dove anche “You Are A Tourist”, che al momento dell’uscita sembrava carina, diventa inaffrontabile: a metà della canzone, vista l’impossibilità di pregare Ben Gibbard di smetterla, è consigliabile fare una pausa. Purtroppo, una volta ripreso l’ascolto, le cose non cambiano. Testi che mettono insieme parole a caso nella speranza che qualcuno trovi un significato profondo, tante tastiere e poche chitarre, nessuno spunto interessante, tanta noia, la voglia di non doversi mai più rapportare con questo disco e l’irrefrenabile desiderio di prendere “Transatlanticism” e ascoltarlo fingendo che tutto questo non sia mai successo.
Per placare la delusione che c’è in me, mi piace pensare che “Codes And Keys” sia solo il disco di una scadente tribute band dei Death Cab For Cutie, o che, come era successo, a tanti in occasione dell’uscita di “Narrow Stairs”, io stia semplicemente ascoltando il disco sbagliato.
Credit Press: Eliot Lee Hazel