Katherine Mansfield scriveva che non è facile sembrare tragici a diciott’anni. Ebbene, aveva torto: probabilmente è l’unica stagione in cui la tragedia non viene contaminata dal ridicolo o da un cinismo eccessivo.
Lo sa bene Erika M. Anderson, che di anni ne ha 22 e non ha paura di morire (citazione di “Who Do You Love” di Bo Diddley, per la cronaca): come chiunque abbia un’inclinazione minima verso la scrittura confessionale, tende a usare le parole sangue e lacerazione nell’intima convinzione che queste prestino una fede migliore al suo tormento. E’ una tecnica che ha il privilegio di essere sincera, a una certa età , e questo mi sembra l’aspetto più importante del suo album di esordio.
Per chi non crede in questo tipo di scrittura, “Past Life Martyred Saints” è un disco orribile. Come orribile, per certi aspetti, è “California”, che al primo ascolto- ma anche al trentesimo- tende a somigliare a un incontro molesto tra Sheryl Crow e i Jesus and the Mary Chain.
Ma il singolo che lancia il disco è costruito su immagini disarmanti, che hanno una loro persistenza: qui Erika dice che ha sanguinato a lungo ma che non si vede, perchè indossa pantaloni rossi. Dice che l’amore ai tempi della tragedia non è gratuito e non è altro che un 51-50 (il codice adottato negli Stati Uniti per classificare i ricoveri per infelicità mentale).
Musicalmente, “Past Life Martyred Saints” non va molto oltre un’onesta bassa fedeltà , le ballate a mezza bocca gravitano in zona Karen O, mentre i toni vagamente messianici di “Red Room” chiamano in causa direttamente Patti Smith. In realtà l’esordio di EMA deve molto alla militanza nei Gowns con l’ex fidanzato Ezra Buchla, che giustappone il suo marchio straniante e amplificato su “Coda”, tra le altre cose.
Alla fine “Grey Ship”, dal retrogusto vagamente grunge nell’attacco ed electro-folk da marcia funebre nella restante parte- è l’unica canzone in cui EMA somiglia davvero a sè stessa, a parte la già citata California. Ed è questa la direzione in cui deve proseguire se vuole scrostare il suo talento dalla patina di lirismo adolescenziale che oltre un certo grado le procurerà più detrattori che status esistenzialisti ispirati alla sua persona.
Ma a questo, in realtà , penseranno gli eventi: fra qualche anno Erika M. Anderson non sarà più in grado di scrivere certe cose senza provare un sincero imbarazzo.
Questa la fragilità del suo disco di esordio, questa la sua bellezza.
Se volete, la sua oscenità .
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2. California
3. Anteroom
4. Milkman
5. Coda
6. Marked
7. Breakfast
8. Butterfly Knife
9. Red Star
Ascolta “The Grey Ship”