Atteso, attesissimo dopo un anno di deflagrante notorietà per la Odd Future Wolf Gang, arriva il secondo disco di Tyler, The Creator, licenziato dai tipi della XL in seguito dell’esordio “Bastard” (in free-download come la maggior parte dei lavori della cricca losangelina): “Goblin” può essere considerato come il primo confronto con il music-biz della OFWGKTA, conclusione di un processo strategico attentamente condotto sfruttando soprattutto il web e le sue potenzialità ipermediali.
Anticipato dal singolo “Yonkers” con annesso un video che è palese ed eccezionale manifesto programmatico della poetica audiovisiva dalla Odd Future (e quindi di Tyler, che della Gang è leader carismatico e mente organizzativa), “Goblin” offre all’ascoltatore quindici tracce (più tre bonus nell’edizione deluxe): concepito come un concept-album sulle confessioni di Tyler al proprio analista, il lavoro si apre con i sei minuti abbondanti della title-track, flusso di coscienza rilassato e livoroso su un tappeto quanto più minimale.
Arriva poi la già citata “Yonkers”, apripista dalle sonorità acide e dall’incedere inquieto e stonato, assai minacciosa ma non quanto la successiva “Radicals”, capace di tingere di strafottenza blackness il sound magmatico e industriale dei Dälek e di rallentare improvvisa e malinconica.
Proprio in questa grandiosa facilità nell’ibridare suoni hip-hop incredibilmente distanti tra loro sta la bellezza del suono di Tyler (e di buona parte dei progetti OFWGKTA): era altrimenti improbabile un cocktail che riuscisse a far conviver sentori mainstream e coraggio tutto indie, Pharrell Williams e i synth spappolati di casa Anticon, il funk cubista e oscuro del Wu-Tang Clan con il gusto per l’elettronica più sperimentale dell’Antipop Consortium, immaginifici squarci pop alla Kayne West con l’aggressività distorta dei suddetti Dälek. Ne è dimostrazione il succedere dell’assalto horror di “Transylvania” ad una “She” (secondo singolo con il fondamentale contributo di Frank Ocean, voce e spirito r&b della Gang) che dipinge incubi magnificamente soul.
E Tyler appare maturo ed estremamente cosciente delle proprie possibilità : sforna bombe disturbanti come “Tron Cat” (uno dei testi più oltraggiosi e divertenti a memoria d’uomo: “Ž”rape a pregnant bitch and tell my friends I had a threesome”), sussurra misterioso nella claustrofobica “Nightmare”, costruisce psichedelici ingranaggi di paranoia funk (“Au79” e, nella deluxe edition, “Untitled 63”) e alza il ritmo nell’implacabile “Sandwitches” in coppia con il sodale Hodgy Beats.
Nuova via al futuro dell’hip-hop la metodologia Odd Future è insieme prodotto dei nostri tempi e perfetta narrazione degli stessi: Tyler è volgare (“Bitch Suck Dick” è un titolo piuttosto esplicativo) e spaccone, ma anche furbo, evita il rischio di una produzione invadente e preferisce un minimalismo schizofrenico che permette alle molte perle del disco di svettare potenti (indimenticabile “Golden”, tra lirismo e fantascienza).
Parlare di capolavoro o pietra miliare è sicuramente eccessivo, ma credo che facilmente “Goblin” continuerà a far parlare di sè e le classifiche di dicembre premieranno il talentuoso Tyler.