Band indie pop di Manhattan, formata dalla coppia: Brian Oblivion (batteria, chitarra e voce) e da Madeline Follin (voce) nasce nel 2010 e comincia ad ottenere successo dopo la pubblicazione di un EP, Cults 7″ sul loro sito online. Questi giorni esce il loro primo vero album.
L’ambiente in cui si costruisce l’omonimo album dei Cults è una stanza per due in un college americano. Si studia cinematografia per tentare un bel finale, di quelli da ‘tutti vissero felice e contenti’ ma la malinconia e il tormento si sentono come sottofondo ad ogni canzone, anche se il ritmo è cadenzato e la melodia orecchiabile e allegra. La maggior parte delle canzoni cantate dalla voce vulnerabile della parte yin di questo gruppo (Madeline Follin) narra prevalentemente di relazioni finite in malo modo. La prima canzone che ci da il benvenuto nell’album,”Abducted”, è una canzone esemplare sulla tortura di amare una persona che non ricambia nello stesso modo. Si parla di sanguinamenti e abbracci mancati. Nella seconda traccia, premiata come “best new music” da Pitchfork (“Go Outside), si sentono sussurrate le parole di Jim Jones dei Jonestown che, con tono macabro ma deciso, ammette di non avere tanta paura della morte quanto della vita. La vita che troppe volte ci lascia a bocca asciutta, ci sega le gambe, ci taglia le corde vocali e fa esplodere i nostri sogni nel cassetto.
Temi profondi per due ventenni americani mentre tra le sale da tè e tra le generazioni passate si parla di gioventù bruciata, senza mete, sensibilità e voglia di fare. Un bello scacco matto dal suono indie pop svedese e dai capelli lunghi capelli scuri che ci avvolgono ogni secondo che passa nel loro album tra passeggiate nella notte (“Walk at night”). Per sottofondo la chitarra e la batteria del compagno della bella Madeline Follin, Brian Oblivion, creatore di una voglia di ballare improvvisa malgrado i testi tristi, introspettivi e alle volte pessimisti. Giravolte e schiocchi di dita alla Supremes nella terza track : “You Know What I Mean” condito tutto da una richiesta d’aiuto per aggiustare o semplicemente avvitare meglio alcune rotelle nel cervello. Questo chiedere aiuto si protrae fino alla settima canzone in una preghiera verso un Dio non presente che si aggrappa a stupide regole e ad un destino già scritto. Si corre via al sole lasciandolo dentro a fantasticare e a galleggiare tra le sue idee inconcludenti e si tenta di cambiare qualcosa divertendosi ed avendo “A Good Time”.
Così, nell’incitamento a “rave on” finisce questo album che è una biografia e una narrazione del sentiero di conoscenza che tutti prima o poi compiono tra lacrime, deliri ma anche tanta speranza.
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2. Go Out side
3. You Know What I Mean
4. Most Wanted
5. Walk At Night
6. Never Heal Myself
7. Oh My God
8. Never Saw The Point
9. Bad Things
10. Bumper
11. Rave On
Photo Credit: Shawn Brackbill