E fu così che anche l’hardcore ebbe la sua opera. I Fucked Up non hanno mai nascosto una certa indole sinfonica e la tendenza al progressive nei lavori precedenti; allo stesso tempo non stupisce la loro smodata prolificità e prolissità , ne sia testimonianza l’album doppio, uscito lo scorso anno, a raccogliere tutti i singoli della band dal 2002 in poi. Con “David Comes To Life” tutto questo viene certificato e sottolineato: trattasi infatti di vera e propria opera rock composta di diciotto brani raccolti in quattro atti, esiste anche una sceneggiatura facilmente consultabile sul sito www.davidcomestolife.com (oppure no?).
Molto brevemente si tratta della storia dei dolori e della rinascita del giovane David che perde la sua amata Veronica e pure sè stesso, la disperazione, il senso di colpa frammisto al sospetto fino alla riscossa finale della consapevolezza di esser scevro da colpe. Dal punto di vista strettamente musicale i brani sono nel perfetto stile della band di Toronto: cavalcate epiche fatte di contrasti e stratificazioni alle quali si affiancano spesso, più che unirsi, le lunghe sparate del cantante Damian Abraham, intervallate sporadicamente da un più sobrio cantato femminile. Proprio il “canto” di Abraham appesantisce l’ascolto rendendo fastidiosamente monotono il dispiegarsi del disco e, fatalmente, annoiando l’ascoltatore già di per sè poco propenso ad accostarsi ad un genere che ha vissuto già i suoi momenti gloriosi (“Tommy” degli Who, pure quello per altro mattone niente male).
La sensazione finale è che “David Comes To Life” sia ben più lungo della settantina di minuti che effettivamente copre perchè, pur non rientrando nel filone della musica riflessiva, non regala mai un mutamento di registro, mai uno scostamento dalla ripetizione della formula: riffone chitarrone – filippica logorroica. Skip. Stop.