Sono convinto che una parte del cantautorato femminile attuale abbia qualcosa di stranamente maschilista. Non parlo dei contenuti, ma dello stile spesso così fragile, delicato ed etereo che richiama alla mente una concezione femminile vicina al dolce stil novo. La donna (in questo caso la voce) è da considerarsi talmente fragile da dover essere preservata sotto una teca di vetro per non esporla all’usura del tempo e della vita. A parte le digressioni, il nuovo lavoro di Marissa Nadler entra nel novero delle produzioni del genere, in cui l’impianto folk tesse trame sottili per una voce fragile e carezzevole.
Un disco di belle canzoni, per cui risulta difficile andare oltre con le parole e le descrizioni. L’essenzialità classica di un brano di folk acustico non si presta a trattati di filosofia, necessita semplicemente di un ascolto predisposto agli umori rilassati di una notte estiva o di una mattinata incastrata in una stagione di passaggio; di quelle che lasciano sulla pelle sensazioni sospese, a metà del guado tra rilassata consapevolezza e un velo di malinconia che sfiora la pelle. Una strada dritta verso piccole redenzioni quotidiane, dove riponiamo per un attimo gli affanni e le storture del giorno, predisponendo l’animo per qualcosa di meglio senza necessariamente rivoluzionare il nostro sentire.
Credit Foto: Ebru Yildiz