Nell’anno in cui hip-hop ha significato principalmente Odd Future Gang (ma sono usciti recentemente anche l’attesissimo “NoYork!” con cui Blu ha mandato a fare in culo la Warner e il risultato del lavoro in coppia di West e Jay Z) l’oscuro progetto Shabazz Palaces rappresenta davvero una mosca bianca. Lontano da circuiti e suoni mainstream il duo composto da Palaceer Lazaro (noto anche come Ishmael Butler e membro dei newyorchesi Digable Planets) e Tendai Maraire pare ispirarsi fortemente a quel movimento che non troppi anni fa cercò di rivitalizzare l’hip-hop iniettandogli grandi dosi di pallore, LSD e attitudine indie-snob.

Saltano subito in mente i mai troppo compianti cLOUDDEAD e proprio il trio californiano sembra essere il nume tutelare di tutto questo esordio, a partire dall’iniziale ed eterea “Free Press and Curl”.
Ma “Black Up” non è assolutamente un lavoro sterilmente avanguardista, neppure quando si avventura coraggioso tra campioni vocali e battiti evanescenti (“An Echo From The Hosts”): preferisce affondare le mani nel jazz ricordando le sfuriate semi-acustiche dei Kill The Vultures (“The King’s New Clothes Were Made by His Own Hands” e la successiva “Yeah You”), disegnare inquieti sperimentalismi elettronici (“Youlogy”), utilizzare avanzi soul (la conclusiva “Swerve…the Reeping of All That Is Worthwhile”) e creare suggestivi paesaggi cinematici (“Are You…”).

Gran disco dunque, perso da qualche parte tra l’Africa e il cosmo.

Credit Photo: Bandcamp