La coerenza tra il carattere di un gruppo e il tipo di musica suonata non è un fattore da sottovalutare. Proporre un’immagine di sè discordante con le proprie composizioni non sempre incrementa il consenso del pubblico, finendo il più delle volte per gravare sulla musica, innocente. Quando poi a suonare sono quattro apatiche presenze spettrali come i Ladytron, la proposta musicale allegramente danzereccia, anche nelle migliori opportunità del caso (vedi i must post-electroclash à la “Seventeen”), lascia quel retrogusto che rischia di non far apprezzare il pezzo nella sua interezza.
Da questo punto di vista “Gravity The Seducer” segna un punto di svolta nella carriera dei quattro di Liverpool. Giunti alla quinta pubblicazione su lunga distanza, il gruppo supera definitivamente il confine del synth-pop danzereccio sporco d’electroclash a cui hanno abituato gli ascoltatori a favore di un pop elettronico raffinato, malinconico e fortemente scenico. L’impatto caratteriale e visivo del gruppo inglese, pacato e asettico, riesce finalmente a specchiarsi in un disco a immagine e somiglianza del suo fautore, così come nel nuovo immaginario proposto, sia che riguardi lo straordinario artwork a firma Neil Krug, così come i nuovi videoclip promozionali, bruttarelli ma coerenti con la nuova proposta.
L’estremo saluto al defunto electroclash non è l’unica novità : salutiamo con cordoglio i versi in bulgaro della bella Mira Aroyo, che vede inoltre diminuire in maniera drastica il proprio apporto vocale alla nuova opera, limitando le sue roche tonalità all’oscura “Moon Palace” e in qualche verso di “Melting Ice”, forse l’unico brano a rivivere le atmosfere sonore di un tempo. Helen Marnie, portavoce dell’ensemble, affina la propria tecnica vocale senza mai osare troppo, a consolidare quella sensazione di freddezza e di distacco che contraddistingue il gruppo da sempre. Più o meno le medesime impressioni percepite all’ascolto di una “White Elephant”, dream pop sintetico di forte fascino, di “Ambulances”, dove l’incedere trascinato e i battiti witch-house offuscano le alte vocalità di Helen, o di “White Gold”, synth-wave pronunciatamente 80s. Paradossalmente risultano più coinvolgenti i due strumentali intermedi, la rapida “Ritual” e l’avvolgente “Transparent Days”, validi e dal sapore cinematografico, così come l’epica “Ninety Degrees”, manifesto delle nuove intenzioni dei Ladytron.