Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista, dicono. Il secondo album è meno personale del primo, di solito. Nel primo disco si mette ciò che si è, nel secondo ciò che si sa, pare. Il secondo disco delude i fan della prima ora, molto spesso. Sono tutte considerazioni che si ripetono, uguali a sè stesse ma che portano sempre un briciolo di verità . Per quanto riguarda i Male Bonding il discorso è più complicato, dato che tra un disco e l’altro della band londinese sono trascorsi appena quattordici mesi ed è difficile trovare vere differenze di stile.
Eppure qualcosa si può dire, ad esempio che le registrazioni di “Endless Now” appaiono meno caotiche e più pulite rispetto al precedente “Nothing Hurts”, i volumi più livellati rendono molto più chiara la resa della voce di John Arthur Webb e le composizioni si appoggiando con convinzione alla batteria di Robin Silas Christian. Più in generale si sono persi i riverberi wave e quel pizzico di punk che condiva l’esordio a favore di una sterzata decisa verso l’indie americana di fine Ottanta e primi Novanta; insomma meno Husker Du e molto più Dinosaur Jr. Tutto questo non è necessariamente un male per il power-trio britannico, anzi, a mio modo di vedere “Endless Now” è superiore al precedente sia dal punto di vista tecnico, con rese molto bene a fuoco, ma pure da quello artistico, grazie a melodie killer che si stampano in testa fin dal primo ascolto e un amalgama tra i vari elementi a sottolineare eleganza e maturità sorprendenti.
Una cavalcata elettrica lunga 36 minuti da assumere tutta senza soluzione di continuità , dall’intro di basso che apre “Tame the Sun” fino alla chiusa in feedback, passando per frustate a velocità massima (“Bones”, “Channelling Your Fears”) e la breve carezza acustica di “The Saddle”. Undici potenziali singoli che rilassano la mente e stimolano il corpo senza mai appiattirsi nella maniera, che, in una parola: divertono. I Male Bonding si mangiano in un solo boccone band, ingiustamente, ben più famose di loro grazie all’ironia (“What’s That Scene?”) e all’ispirazione, lanciandosi alla conquista del mercato. Un nuovo, l’ennesimo, colpaccio di Sub Pop.