Ci sono dischi e band che quando si ascoltano per la prima volta è come se schioccassero le dita e ti svegliassero, come se ti scuotessero dal torpore della normalità e ti chiedessero: Cosa diavolo aspettavi a trovarmi?. Il tempo si cristallizza per un istante, ti sembra di averli ascoltati per tutta la vita e che questo suono sia indispensabile e necessario. Questa è una sensazione rara, piacevole come la prima volta che mi capitò tra le mani un “Valvonauta” dei Verdena o un “The Back Room” degli Editors (mi piace immaginare un legame misterioso tra i nomi delle band), e in quel frangente ti dici caspita, stavo proprio cercando un disco come questo.
Ed è la stessa sensazione che ho provato in un afoso pomeriggio di fine estate ascoltando i Thegiornalisti.
Sono una formazione romana di quattro elementi con due chitarre slavate, un basso sporco e una batteria genuina, con un’anima decisamente lo-fi che difficilmente si trova nel panorama musicale odierno. Infatti il loro essere vintage, fuori mano è in antitesi con l’attitudine pop, talvolta di facciata, attenta solo a strizzare l’occhio alle mode passeggere, che gira in repeat nelle nostre radio.
Le dieci tracce lasciano intavedere un background che spazia dal primo Pete Doherty sino ai Beatles, passando per il cantautorato italiano alla Celentano anni ’70. L’atmosfera di base è malinconica, ma non autocommiserante, la forza dei testi, in italiano _ mi piace sottolinearlo_ accompagna la melodia costruendo spaccati di rock che parlano di vita, di mondo reale, di sentimento e riflessione con grazia ed eleganza, con misura e passione, come in “Siamo Tutti Marziani”, ballata disillusa, imperniata sullo starniamento dei sentimenti, cantata da lontano come se fosse una voce fuori campo che ci segue nel nostro cammino.
“La Mano Sinistra Del Diavolo” riassume l’attitudine dei Thegiornalisti: un testo ben articolato, non banale e scontato ma al contempo non alla ricerca del termine ad effetto, il tutto accompagnato da cambi di ritmo, dalla voce in leggero riverbero e da questo riff dal sapore epico che raccorda le strofe alla The Last Shadow Puppets.
“Vol.1” è sì un album d’esordio, ma non appena inizia a suonare si capisce che nel suo dna c’è vera e propria consapevolezza, propria di una band matura, capace di scrivere “Io Non Esisto”, il pezzo più completo e di maggior impatto emozionale del disco.
Non si può non attendere “Vol.2”