Non facile, per uno da sempre poco avvezzo al dancefloor come il sottoscritto, riuscire a far proprie certe suggestioni elettroniche. Alex Willner è sempre riuscito al colmare questo gap, manipolando la materia techno per creare un flusso di sensazioni magmatiche e in lento divenire. L’arte del loop nella sua massima espressione; è sempre stata questa la caratterista dei dischi a nome The Field che, avvalendosi di pochi elementi, riesce a costruire composizioni più o meno lunghe, in cui le piccole variazioni sul tema fugano il pericolo della ripetitività . Ancor più difficile spiegare nel dettaglio la bellezza di un disco di grande impatto, capace di toccare ogni angolo dell’atmosfera circostante di chi lo ascolta.
Musica da “effetti particellari”, come da usi e costumi del linguaggio tecnico dei videogiochi quando si parla della resa su schermo di elementi quali fuoco, fumo, nebbia. Nessun incastro matematico, nessuno spigolo o elemento geometrico; è tutto in circolo continuo, finemente cesellato senza prefiggersi necessariamente lo scopo di far muovere il fondoschiena della gente. Da qualche parte ho letto che siamo al cospetto di un bel viaggio della mente e dello spirito, possibilmente notturno. Non poteva esserci definizione migliore per un’esperienza sensoriale che dura poco più di un’ora. Un viaggio in auto, un paesaggio metropolitano che attende la notte, sequenze di fotogrammi in bianco e nero, possibilità che restano strette nell’ambito di una camera da letto. Chiudete gli occhi e abbandonatevi a questa fredda colata lavica di suggestioni. Quando la voglia di essere altrove è più forte di tutto.
2. It’s Up There
3. Burned Out
4. Arpeggiated Love
5. Looping State Of Mind
6. Then It’s White
7. Sweet Slow Baby