Smessi ormai definitivamente i panni di artista elettronico in senso stretto e abbandonata del tutto la dimensione clubbistica Sascha Ring, conosciuto ai più come Apparat quest’anno si ripresenta al suo pubblico con una accentuata vena cantautoriale nei contenuti e un approccio strumentale che molti hanno definito per certi versi post-rock (di quello iperdilatato ed emotivo à la Sigur Ros). Non che l’elettronica ovviamente sia scomparsa del tutto in questo “The Devil’s Walk”, tuttavia si tratta non più solamente del frutto del lavoro di un alchimista dei suoni ma piuttosto si tratta del risultato dell’impegno di una band vera e propria, band che nei prossimi giorni vedremo anche qui in Italia, quando il Nostro assumerà i panni di vero e proprio frontman.
Dell’Apparat che conoscevamo rimane comunque il tocco elegante, fragilmente emotivo, sottilmente sensuale. Ma il passaggio da una dimensione più “carnale” a una più intimista non è certo avvenuto indolore. Ci aspettavamo infatti il capolavoro definitivo del producer tedesco, invece ci troviamo di fronte ad un album di transizione che forse manca di qualche piccolo grande ingrediente per poter ghermire e cullare e far innamorare per sempre onde cerebrali e ventricoli ansimanti. Oltretutto la critica ha sin da subito bollato il full length come “derivativo”, innanzitutto figlio delle malinconiche sinuosità di Thom Yorke, per dirne una. E’ vero, ascoltando una “Ash/Black Veil” in parte l’impressione di già sentito prende il sopravvento, ma forse non è neanche così devastante. Semplicemente c’è la sensazione che si sarebbe potuto fare di più, magari soffermandosi di meno sulla levigatura dei suoni e più sul lato puramente emotivo/espressivo.
E’ bene però dire che tracce come” Black Water” (fantastica alchimia di suoni acquatici e un climax cinematico sì delicato ma di fortissimo impatto), la tremolante “Candi De La Calle” e una “The Soft Voices Die” tutta glockenspiel e archi spianati ci restituiscono un ritratto di un artista se non all’apice della forma ancora affamato di musica vera ed emozioni potenti ed autentiche.
Da non dimenticare l’ospite d’onore Anja Plaschg (ossia miss Soap & Skin) che canta in “Goodbye”, brano che affonda dolcemente sotto colpi di solenni accordi pianistici e disordinati frammenti strumentali.
Certo se il genietto germanico riuscirà a trovare davvero un nuovo equilibrio, completando la sua evoluzione, non ce ne sarà per nessuno. Per ora rimaniamo ad ammirare questa creature bella e raffinata, ma ancora incompleta.