Il rituale etnologico, la furia descrittiva che trascende le pieghe del sistema-canzone per essere ciò che è e ciò che è meglio che sia: pura immagine sonora. Eravamo stati abituati da Andy Stott alle trame melodiche impoverite che facevano capo ad un processo di destrutturazione graduale ma inesorabile, alle reminiscenze dub che scendevano giù fino agli 80 BPM del drone di “Execution” per restarci il tempo necessario a saturare le frequenze prima di morire svanendo.
“We Stay Together” cresce e nasce a pochi mesi di distanza dal suo predecessore “Passed Me By” ed è logico aspettarsi che ne sia quantomeno l’erede sia sul piano stilistico che su quello più prettamente strutturale e sonoro. La previsione si rivela giusta nella misura in cui si prendano in considerazione i capisaldi e non le cromature sonore dell’impianto compositivo di Stott.
La ricerca sonora resta infatti un trionfo dell’antropologia nel senso più tradizionale del termine, ma a cambiare adesso sono le meccaniche, le stratificazioni di cui si avvale l’arrangiamento. Via l’ossessivo rallentamento del composto musicale e spazio ai riverberi, alle alienazioni lungo spirali ritmiche compulsive, ad un sentire blues nel senso meno musicale ma più spirituale del termine.
La techno della precedente vita di Stott viene solamente sfiorata in rare occasioni (“Bad Wires”) e quando ciò avviene, essa è un mezzo e non un fine espressivo. “¨L’ossessività ritmica si è evoluta ed ed è ora un mero retaggio del passato, un esoscheletro fragile usato da Stott per motivi di risonanza estetica e non più con fini portanti.
L’impressione che se ne ha, però, è quella di avere di fronte un album interlocutorio che stia perennemente per portare verso lidi sconosciuti ma che si ferma a un tanto così dall’ignoto di un magnifico precipizio.
Se di lo-fi si tratta, è di una grana differente da quella dei colleghi di etichetta Demdike Stare. La missione filologica del duo del Lancashire è qui solamente sfiorata, citata più nel precedente “Passed Me By” che nell’ultima opera. Questo a dimostrare, semmai ce ne fosse ancora bisogno, l’irrequietezza (nonchè il talento e la fertilità compositiva) di un DJ che sembra eternamente insoddisfatto e alla ricerca di una propria anima.
“We Stay Together” è un lavoro ostico per i più ma terribilmente affascinante per tutti gli altri. è il respiro dell’artista (e un pò ne riprende il ritmo) quando questi è perso tra la sua ispirazione e le macchine. Nel preciso istante in cui un pensiero eccelso, elegante, primitivo, prende una propria forma elettronica.