Irrazionali, frammentari ed eclettici. I Cymbals Eat Guitar tornano due anni dopo il primo “Why there are Mountains” con un album fatto di accenni post rock, noise, indie pop, grunge e pure shoegaze. Araldo della imprevedibilità , “Lenses Alien” gioca con i generi mixando, improvvisando, gridando e sussurrando in una prova interessante quanto pericolosa nella sua impostazione.
La band, il cui nome deriva da una descrizione dei sound dei Velvet Underground da parte di Lou Reed, nasce nel 2005. Joseph D’Agostino e Matthew Miller fondano la band reclutando gli altri membri via Craiglist, per poi subire diversi cambi di line-up e rilasciare finalmente il debutto “Why there are Mountains” lo scorso 2009. Dopo il primo rilascio indipendente, la band ha segnato con la Barsuk Record (US) per produrre l’uscita di “Lenses Alien” (in Europa distribuito dalla Memphis Industries).
La band punta in alto, creando una prima fascia di canzoni ambiziose, sperimentali, a cavallo tra il post rock e il noise rock, con un giro lo-fi alla Glasvegas (“Rifle Eyesight”). Non contenti seguono con un grunge dalle ricadute post e liriche con i back vocals di “Shore Points”, in una nevrosi che raggiunge l’apice nella simil-ballad “Plainclothes”, dove a momenti più calmi si susseguono attimi di pura grinta. Peccato che questa vena sperimentale scemi in un power pop più orecchiabili, ma sempre con contorno sinfonico-grunge (“Definite Darkness”, “Secret Family”,”Another Tunguska”) e un mini assolo in “Keep me Waiting”. Non mancano brani più minimali nostalgici, in cui torna il lo-fi noise glasvegasiano (“the Current”) alternato ad una semplice ballad dalle tinte pop (“Wavelenght”).
“Lenses Alien” è un buon album, con ottimi picchi di ambizione che si concetrizzano in brani avvincenti ed imprevedibili. Come ci può essere l’ascoltatore maggiormente attratto dagli echi alla Pavement e il lirismo degli Smashing Pumpkins, anche quello dall’animo maggiormente sperimentale non potrà che storcere il naso al lato maggiormente contemplativo. Godibile ma controverso, un album che non riesce però a piacere se non a metà .
Photo Credit: Bandcamp