Nella mia mente si scontrano da una parte le immagini di “Paris, Texas” di Wim Wenders che un utente illuminato ha postato su youtube musicandole con il brano “Black Water”, punta di diamante dell’ultimo controverso parto di Apparat, “The Devil’s Walk”, e dall’altra il ricordo di un pubblico cafone ed eccessivamente rumoroso che pur regalando a Sascha Ring e compagni la soddisfazione del sold out, ha reso difficile, per quegli astanti più educati e più interessati alla musica più che all’ evento “mondano”, la fruizione del concerto.
Il quartetto capitanato da Sascha (a cui si aggiungerà un duo di suonatori d’archi nella fase più avanzata della performance) si presenta sul palco circondato da un set di aste verticali luminose, ovvero una sorta di torcette futuristiche che per tutto il live taglieranno qui e là come lame soffici la delicata oscurità del palco del Circolo degli Artisti.
Anche se “The Devil’s Walk” sarà il protagonista della serata, non mancano i pezzi dell’Apparat del recente passato. E infatti per scaldare il pubblico si parte con una versione accattivante di “Arcadia”, vecchio glorioso hit del periodo elettronico. Tra i pezzi meno recenti non sono da meno altre gemme come “Rusty Nails” (il singolone dell’album a nome Moderat, con i Modeselektor) e “Sayulita” (tratta dall’ultimo “DJ Kicks”. Da una parte la versioni live di questi pezzi perde alcune sfumature di quelle in studio, ma ne acquisiscono altre, guadagnando in urgenza e soave “crudezza”. Per il resto, tra intro e code dilatate e interessanti riarrangiamenti, tra i migliori episodi tratti dall’ultimo Apparat ricordiamo (esattamente come è successo per il disco) brani come il sopraccitato capolavoro “Black Water” e “Candid De La Calle” (in particolare in quest’ultimo pezzo Sascha sfoggia un cantato morbidamente sensuale davvero emozionante) e altri momenti più noiosi (di nuovo, proprio come sull’LP) come “The Song of Los”.
Molti commenti a fine concerto parlando di “già sentito”, proprio come è accaduto all’indomani dell’uscita del disco.
Ma proprio come per il discorso (anche se non c’entra niente) che un bassone melodico e una voce baritonale non fanno per forza Joy Division in versione copia carbone, allo stesso modo non tutte le reiterazioni sognanti di accordi di piano ed archi devono rimandare necessariamente ai Sigur Ròs, non tutta l’elettronica con falsetto fa Thom Yorke e basta, non tutti questi suoni fanno musica derivativa dal “solito” immaginario pseudo-triphopettaro/indietronico/radioheaddiano-malinconico magari anche un po’ datato. Credo fortemente, come credevo quando ho recensito “The Devil’s Walk”, che la verità stia nel mezzo. Troppe volte si incensano dischi e artisti esageratamente, ma altre volte prende il sopravvento (includendo il fatto che comunque un giudizio dovrebbe essere sempre rispettato…) una certa pigrizia, sia degli ascoltatori che della critica. Torniamo però a ripetere che il vero spirito della musica di Apparat è andato in parte perduto, questo è il pensiero che mi venuto in mente osservando il segaligno Sascha con i suoi compari dal vivo. E non c’entra il discorso dell’elettronica clubbistica vs. elettropop/post-rock intimista. Si può fare musica del genere, anche cambiando in parte il proprio approccio, mettendoci un po’ più di autenticità e meno autoindulgenza. Fatto sta che stiamo parlando di un concerto…ebbene, pur con le premesse di cui sopra (forse penserete che mi sto un po’ contraddicendo…) credevo che mi sarei parecchio annoiato e invece è stato come crogiolarsi sul velluto mentre si ammirano luci intermittenti sul soffitto, sovrapposte a stralci di immagini sussultanti che credevo fossero andate perdute, e che invece stasera ho ritrovato.
Credit Foto: shiver_shi, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons