Milano 14 novembre 2011: il freddo è accompagnato da una goffissima nebbia. In serate come queste, la cosa più scontata da fare è restare a casa ad impigrirsi in una litania di lamentele verso questa città ma io decido di occuparmi di un po’ di musica.
Ingessata dall’abito da lavoro, direttamente dal mio ufficio senza rientrare a casa, mi muovo verso il Teatro Martinitt: concerto di Scott Matthew e Josh T Pearson.
La serata inizia con Scott Matthew, non spalla di Josh T Pearson, ma vero protagonista.
Per quanto nell’ultimo anno l’ukulele abbia subito i miei sguardi carichi di scetticismo e le lamentele di orecchie un po’ annoiate (anche grazie all’ultimo lavoro del nuovo Mr. Ukulele Eddie Vedder), è subito ben chiaro dai primi accordi che la voce di Scott, a volte piena e rotonda, altre volte sussurrata, si sposa con cura e maestria con questo strumento.
Il risultato è ineccepibile. Adesso quando penso all’ukulele non ho più paura, penso a Scott Matthew e mi rassereno.
Durante la pausa il palco si svuota e, in attesa di Josh, restano impazienti un microfono e un’asta.
La barba di Josh lo procede sul palco. La sua barba compare con una chitarra ancora ben custodita.
Con lentissima gestualità , Josh libera la chitarra, la accorda “This song is called tuning”, prova l’accordatura e proferisce “Thank you. Good night” e si muove, con effervescente ironia verso l’uscita. Durante il concerto il suo black humour non ci abbandona: non risparmia battute su Berlusconi e sui ristoranti pieni, ci regala anche un paio di barzellette.
Tutta questa “travolgente” simpatia non riesce ad arginare lo tsunami di tristezza, melanconia e profondità caricato dalle sue dita sulla chitarra e dalla voce profetica.
Sembra non pensare a noi. E’ lì chiuso tra la sua chitarra e il suono della sua voce.
Un live per conoscere meglio il suo disco: difficile, ostico, doloroso. C’è ancora chi ha il coraggio di proporre pezzi fiume di più di 10 minuti. Un fiume che può essere ammirato e apprezzato solo da chi ha la consapevolezza che con Josh T Pearson c’è bisogno di tempo”… tanto e mai troppo.
Nota: l’ultimo album di Josh T Pearson ha ricevuto un buon consenso dalla critica e dal pubblico, ma questa sera gran parte del pubblico era lì per Scott. All’inizio del concerto di Josh, alcuni spettatori hanno deciso di affrontare la nebbia preferendola alle tostissime e lunghissime preghiere di Josh. Scelta discutibile ma comprensibile.