Nel 1988 Christa Päffgen in arte Nico, teutonica icona pop e musa del movimento goth, per molti nato proprio dai suoi “Desertshore” e “The Marble Index”, moriva in seguito ad una caduta da bicicletta. Due anni dopo, nel 1990, in un paesello austriaco nasceva Anja Plaschg, destinata a scrivere vent’anni dopo una delle migliori pagine del movimento dark. Casualità ? Come sono collegate questi due avvenimenti? Cosa centrano uno con l’altro? Assolutamente nulla, però mi andava di fare il Roberto Giacobbo della situazione.
“Narrow” è il nuovo minialbum della giovane compositrice austriaca. Il seguito di “Lovetune for Vacuum”, apprezzato unanimemente dalla critica, arriva sugli scaffali in seguito a un paio di EP promozionali, alla partecipazione al tributo a Nico (ma guarda un po’) messo in piedi da John Cale e alla collaborazione con Apparat in “Goodbye” forse l’unico brano degno di nota dell’insipido “The Devil’s Walk”. Tanta gavetta insomma, premiata da un lavoro che consolida i punti di forza del debutto, sia insistendo sulla forma per solo piano e voce che creando un ponte tra questa e la dimensione electro-industriale, che trova il proprio apice in “Deathmental”, commistione tra i glitch manicomiali di “DDMMYYYY” e il lato più intimo della Plaschg, così come accade nella conclusiva “Big Hand Nalls Down”, meno ossessiva e scandita fluidamente da rintocchi d’orologio e percussioni perforanti.
La partecipazione della Plaschg alla pellicola austriaca “Stillleben” si delinea in “Voyage Voyage”, spettrale cover dell’anthem synthpop francese nonchè tema del film, mentre le dolci “Wonder” e “Lost” sembrano smorzare il clima catacombale con melodie meno glaciali ma sempre un po’ inquietanti. Ma è proprio quando l’austriaca dà adito alla personale, gelida visione dell’esistenza umana che riesce a dare il massimo, in questo caso in due vere e proprie perle dark: l’iniziale “Vater”, interamente in tedesco, che nasce dalla consueta elegia pianistica progredendo in una concitata litania per poi esplodere definitivamente in un finale pregiato da scintille industrial, e il singolo “Boat Turns Toward the Port”, per piano e glitch, lamentosa e funerea come non mai, valorizzata da un video promozionale tanto semplice quanto angosciante. Insomma, non proprio un album per andare sulle macchine a scontro, ma se ascoltato nel mood giusto saprà lasciarvi molto.