People call our music tropical thrash. I have no idea what that means, but it’s fun.
Zun Zun Egui: la band di Bristol ci ha scaraventato “Katang”. Qui l’oriente si fonde con l’occidente in una miscela di rock energico e di ritmi tribali. In verità di orientale, di fatto, c’è solo Yoshino Shigahara, la tastierista del gruppo direttamente da Kyoto, affiancata da Kushal Gaya giunto nel Regno Unito dalle Mauritius e dagli anglo Luke Mosse e Matthew Jones.
Il primo singolo è “Fandango Fresh”: il brano più a portata di mano con la voce del frontman Kushal Gaya e con la batteria di Matthew Jones, delude le premesse accattivanti che durano solo pochi istanti. La title track sposa una chitarra sfrenata e squilibrata con un inquietante e perpetuo sibilo, non lontano dal suono incantatore di una sirena. L’effetto è un’esaltante, adrenalinica e ripida discesa in bicicletta senza freni: coinvolge ma minaccia di portare anche temibili emicranie e rovinose cadute. Quest’album non risparmia neppure il salto nel vuoto, apparentemente irrisoluto di “Dance Of The Crickets” o la salita sofferta e riflessiva, che si dispiega nella divertente distesa di colori di “Twist My Head”.
Siamo tra la baraonda e un buon album: nel limbo dell’esplosione delle idee (forse troppe) che prendono vita in brani collegati da strette di mano libere, un inglese (francese, creolo, giapponese) poco decifrabile, da chitarre e tastiere urlanti, da batteria indomabile, melodie loop, rivelazioni e tranelli che si susseguono senza tregua.
C’è forse troppo con il conseguente mancato senso di compiutezza dell’album.
Di buono c’è che subito dopo “Katang” può venire voglia di riascoltare i Talking Heads.