Un dato di fatto: “Attack On Memory” era uno degli album più attesi per quest’inizio anno.
Mica poca cosa per un gruppo che fino a qualche tempo fa non faceva altro che rompere i coglioni ai vicini dell’Ohio per il casino che producevano nel loro sudicio garage, tutto poster e pareti scalcinate, di Cleveland. Succede che dopo un paio di LP, ancora troppo adolescenziali e poco inquadrati, si possa credere alla maturità improvvisa. Il miracolo sottovuoto. Usa e getta. Il miracolo postmoderno. E credi possa accadere perchè al di là delle varie suggestioni del caso questa volta alla produzione c’è Steve Albini. Proprio lui. Che si nasconde dentro buie sale di registrazione d’America a trasformare rospi in principi azzurri. Succede poi che il miracolo non accade, e che non diventi necessariamente un problema.
Il giorno in cui ci siamo guardati tutti allo specchio e abbiamo capito cos’erano per davvero gli anni 90, quelli erano finiti. E ci siamo ritrovati con la maglietta dei Pavement, il poster degli Slint ed i jeans strappati a fare i conti con il futuro. Tua madre te lo diceva. Eri diventato grande. Una consapevolezza insanabile che, tuttavia, sembra non aver colpito Dylan Baldi (anima dei Cloud Nothings). E questo può rivelarsi un problema. Oppure una benedizione. Questione di punti di vista.
Succede che quando parte “No Future No Past” ti torna alla mente la prima volta che hai ascoltato “Spiderland“, era il 1991, per alcuni, ed anche se sai che non è lo stesso trovi che sia cosa buona e giusta aggrapparsi a quel ponte invisibile. Una via di fuga. Quasi una cura. E sono fatti così i Cloud Nothings: istigatori di epoche passate, citazionisti, predicatori dell’hardcore da giro in bici per le coste assolate della California. E “Wasted Days” ne è la conferma, tutta chitarre taglienti e malumori smascherati che ricorda neanche troppo vagamente l’emo-core dei Drive Like Jehu. E se il disco continuasse sul livello dei primi due pezzi ora staremmo lì a non credere ai nostri orecchi. Certo, niente a che fare con le rivoluzioni, per carità , ma d’altra parte chi ci sperava?
A convincere meno sono il pop-core collegiale di “Fall In” e “Stay Useless” e qualche passo falso qua e là . Poca roba. Tutto intorno richiami addolciti firmati Jesus Lizard, Fugazi e Husker Du. Infatuazioni noise (“No Sentiment”) e randellate post-punk (“Separation”). Mica roba da niente!
Ma “Attack On Memory” è il risultato del percorso evolutivo dei Cloud Nothings o solo la mistificazione di una promessa indie da quattro soldi? è il risultato di una scrittura più matura o un abile pesca dal cilindro di Steve Albini? Potrebbe volerci del tempo per trovare la verità . Il bicchiere mezzo vuoto o quello mezzo pieno. O potrebbe volerci un attimo. Fatto sta, “Attack On Memory” è un album ben costruito. Un tuffo all’indietro a riprenderci ciò che ci era appartenuto e che poi ci è stato sottratto senza astuzia, ma con inganno. Un album che non stanca. Uno sfogo adolescenziale, ma solo nella forma, che arriva dove deve arrivare senza troppi giri di parole. E la mezza stella di troppo. Quella è per Albini.