Con due Golden Globe in tasca la vita ti sorride in modo diverso, specialmente se manca meno di una settimana alla notte degli Oscar. Il curriculum si è fatto ricco: ora si possiedono non solo eccellenti credenziali, ma anche due referenze fresche fresche da giocare nell’ultimo match. La posta è alta, e “Paradiso Amaro” sembra poter guardare con aria altezzosa il tavolino imbandito di statuette dorate.
L’avvocato e ricco ereditiere hawaiano Matt King (George Clooney), è costretto a sbrogliare da solo affari patrimoniali e familiari in seguito all’incidente nautico che ha portato la moglie Elizabeth (Patricia Hastie) in coma sul letto d’ospedale. Le sue due figlie, inizialmente poco collaborative e capricciose, si ritrovano così a dover riporre la loro fiducia in un padre storicamente troppo impegnato e assente. Ma c’è dell’altro. L’adolescente Alex (Shailene Woodley) porta dentro di sè un triste segreto che decide di rivelare proprio quando il coma della madre viene definitivamente dichiarato irreversibile: Elizabeth tradiva Matt da molto tempo. Colpito a dovere da questa ennesima frustrazione, a Clooney non resta che giocare le sue ultime carte buttandosi in una tragi-comica ricerca dell’amante della sua sfortunata compagna.
Se non fosse per “A Proposito di Schmidt”, probabilmente il nome Alexander Payne vi direbbe poco – forse potreste pensare ad una parentela con il famoso personaggio dei videogame (Max Payne), ma niente: siete stati sfortunati, provate ancora. Tuttavia è risaputo che a volte il background è solo un armadio pensante, e che nei curricula molti lunghi c’è sempre qualche nota di falsità ; perciò lasciamo da parte ogni storicismo e guardiamo avanti.
C’è molta furbizia e raffinatezza in questo film scarlatto. La sceneggiatura ““ tratta dal romanzo “The Descendants” di Kaui Hart Hemmings ““ è in particolare il figlio più prodigioso. Nonostante la scena d’apertura consista in una moglie intrappolata da tubi e flebo che la tengono artificialmente in vita, il film non si perde immediatamente in un commiato continuo, ma anzi sa conservare un posto caldo perfino all’umorismo sensato.
L’acting è buono ma non eccellente. Clooney è se stesso, quasi non recita. La sua maschera fatta di camicie a fiori, ciabattine impagliate e colpi di luna, per quanto ben costruita ““ incastonata ottimamente dentro i paesaggi hawaiani – non è in grado, secondo il mio parere, di aspirare a un Oscar. Shailene Woodley invece è ammirevole nel suo ruolo da teenager, niente da eccepire.
Arriviamo alle musiche. Le note sono calde, fatte di chitarrine, sabbia e salsedine; scelte con l’orecchio arguto e furbo ““ la furbizia è il leitmotiv della regia ““ di chi sa come inquadrettare uno scenario per bene.
Il peccato mortale è solo uno: il guizzo è troppo breve. L’illusione di non stare a guardare un film americano dura poco, e un risveglio gelido è presto ben servito. Il corpo centrale, ed in particolare il finale, restituiscono subito una trama avvilita da lacrime e dialoghi singhiozzati. Insomma: si mirano le stelle ma i piedi restano nel fango.