Dopo gli ultimi due dischi del Boss il mio timore era che i dischi mediocri avrebbero prima o poi raggiunto e superato numericamente quelli buoni. Una cosa inaccettabile per la qualità immensa di buona parte della produzione di Springsteen. C’erano tutte le premesse per accogliere questo “Wrecking Ball” senza la minima aspettativa. Il piacevole singolo ” We Take Care Of our Own” non aveva messo il sottoscritto al riparo da quelle titubanze. Insomma, sembrava poco più che l’ultimo Boss, tra buone melodie rock, epica da stadio e produzione un po’ troppo laccata. Nella carriera del Nostro ci sono state sempre certe urgenze, prima fra tutte la volontà di raccontare l’america a stelle e strisce senza paraocchi, rifiutando patetici patriottismi. Il tutto filtrato attraverso gli occhi di un innamorato che mantiene sempre la lucidità per osservare le cose dal proprio punto di vista, senza condizionamenti, facendo una critica costruttiva e a suo modo romantica.
“Wrecking Ball” è figlio della necessità di raccontare gli Stati Uniti ai tempi della crisi, di mettere nero su bianco tutta la disillusione di un sogno americano che rimane tale e prende sempre più i contorni dell’utopia. I testi sono enormi, piccole grandi pagini di epopea folk, costruiscono un mosaico di piccole e grandi sconfitte, perdite amare e promesse non mantenute. Nelle parole è un disco dannatamente attuale, se vogliamo anche necessario, almeno per tutti quelli che in Springsteen hanno in qualche modo sempre creduto. La produzione è passata dalle mani di Brendan O’ Brien a quelle di Ron Aniello; tutto quello che ci aveva fatto storcere il naso, che ci sembrava sin troppo “laccato” nei lavori immediatamente precendenti a questo adesso è solo accennato, come nel caso del primo singolo di cui sopra e in un altro paio di momenti. Per il resto le canzoni svestono gli abiti luccicanti del pop in favore di un aspetto più naif, vicino al folk tradizionale delle “Seeger Sessions”.
E’ forte il contrasto tra il crudo disincanto delle liriche e l’aspetto festaiolo di alcuni brani, in cui pulsa forte il cuore irlandese della tradizione folk americana. L’epica title-track è probabilmente l’apice e al contempo la summa stilistica dell’intero disco, col suo incedere rock, le tastiere in crescendo, il sax di Clarence Clemons che ci lascia in eredità le sue ultime note e l’esplosione finale che già immaginiamo diventare un perfetto inno da stadio nella controparte live. Impossibile ed ingiusto valutare questo disco paragonandolo al meglio della produzione passata, più onesto considerarlo per quello che è: un gran bel disco del Boss, sentito, ispirato e maturo, ancora con qualche retaggio del recente passato, ma inecepibile. Il cuore dice quattro stelle, la ragione me ne impone mezza in meno.
2. Easy Money
3. Shackled and Drawn
4. Jack of All Trades
5. Death to My Hometown
6. This Depression
7. Wrecking Ball
8. You ¹ve Got It
9. Rocky Ground
10. Land of Hope and Dreams
11. We Are Alive