Non so se si possa dire spaccare il culo ai passeri in una recensione, però trovo l’espressione abbastanza azzeccata per l’album che vi vado a raccontare. Se ci pensate culo è soltanto il rafforzativo, con la sfacciataggine del termine volgare, del modo di dire spaccare, inteso come l’evoluzione dell’essere ciutto, dell’essere figo, di aver fatto centro, e di tutte le altre espressioni anni ’80 e ’90, con un’ulteriore, perchè no, sfumatura grottesca del volatile come vittima sacrificale. I Drink To Me sono questi: una sfacciata band che rompe gli schemi del mercato, seppur indipendente e senza schemi di suo come quello battuto da etichette frizzanti come la Unhip Records di Bologna, una band aggressivamente innovativa, che sin dal primo ascolto appare come essenziale e doverosa, indispensabile e, sì, necessaria.
Pochi giri di parole, c’è bisogno dei Drink To Me perchè poche realtà hanno la capacità di evolversi e partorire un suono, un flusso melodico come loro, dai grezzi ma interessanti ep d’esordio al furioso “Don’t Panic, Go Organic!”, passando per l’estremamente godibile “Brazil” e arrivando a questo “S”, pulito e genuino salto di qualità , abbagliante (“Take a picure of the sun”) per elevatura ed attualità .
Possiamo nominarli tutti, l’elettronica raffinatamente diafana ed eterea degli M83, alla magia onirica dei primi Oneida, il rock abbozzato, germinale e naif di Peter Bjorn and John, l’attitudine alla ritmica dei Killers, la commistione tra noise e psichedelia folk degli Animal Collective, vanno bene tutti, la verità è che con i Drink To Me viene quasi spontaneo sentire il bisogno di fare paragoni, di trovare al gruppo torinese un termine di confronto quasi come a voler giustificare quanto di buono si sta ascoltando.
I sintetizzatori girano a pieno regime, in armonia con le chitarre e i giri di basso creando dei veri e propri mantra come “L.A. pt. 1”, pezzi in equilibrio tra uno shoegaze di base e un desiderio di catarsi aulica come “Airport Song”, ma sostanzialmente è “Henry Miller” che fa da capofila alle undici tracce, elevandosi come vero capolavoro. L’avranno già detto in molti ma “Henry Miller” non è il solito singolo, è un pezzo che va anarchicamente oltre, con un groove senza tempo, fuori dagli schemi che rapisce subito l’attenzione e pone il disco ad un livello successivo.
2. The Elevator
3. Picture Of The Sun
4. Future Days
5. Space
6. Dig A Hole With A Needle
7. L.A. 13 pt. 1
8. L.A. 13 pt. 2
9. Disaster Area
10. Airport Son
Ascolta “S”