A quattro anni dal sorprendente debutto “Where You Go I Go Too” e a tre dal sensualissimo “Real Life is No Good” in collaborazione con Christabelle, il dj norvegese Hans Peter Lindstrøm torna con un nuovo album. Fino ad ora ci aveva abituati ad una disco dance da pre-party minimale e raffinata, volta ad intrattenere l’ascoltatore con interminabili mantra sintetici e a smuoverlo sul dancefloor in timidi ancheggiamenti.

Una vera manna per gli introversi disco dancer al debutto su pista. “Where You Go I Go Too” è esemplare in questo, una volta in play si è proiettati nei morbidi spazi siderali delineati dal dj, dove l’ignoto non è davvero tale ma è più vicino e familiare della suola delle nostre scarpe. Per come si è evoluta nel corso di questi quattro anni la carriera di Lindstrøm, il viaggio del dj norvegese non è una partenza verso l’infinito ed oltre ma un ritorno da questo (e la traccia di chiusura dell’album, “Long Way Home”, ha un titolo allusivo a sufficienza), il rientro ad Houston. In “Real Life is No Cool” Lindstrøm ha condensato l’esperienza dell’esordio convertendo il proprio sound dentro le rigide coordinate del paradigma pop, producendo due hit come “Lovesick” e “Let it Happen” con la vellutata voce di Christabelle ad occuparsi del resto.

Con “Six Cups of Rebel” non siamo proprio all’atterraggio definitivo ma siamo ben oltre al di sotto della stratosfera. Il suono è divenuto più concreto, meno anaerobico, Lindstrøm non lavora più sul sottofondo, questa volta si concentra sulla crosta, alza di più il tono e ispessisce il suono che da elegante diventa aggressivo, salvo ingentilirsi di rado ad album quasi concluso. Lo scatto dal minimale al magniloquente è finalmente compiuto. La tracce di conseguenza si adattano a questa nuova forma, accorciandosi, ma non abbastanza da poter sostenere un ascolto senza cali di attenzione, senza che la saturazione faccia subito capolino. Le idee brillanti presenti in “Six Cups of Rebel”, sviluppate anche con una spiccata sensibilità  cinematografica, purtroppo non riescono a determinarsi a dovere, a causa dell’eccessiva durata dei singoli brani rispetto a ciò che s’è proposto di fare il dj svedese. E’ come se Lindstrøm avesse voluto forzatamente cercare un compromesso tra le lunghissime suite dell’esordio e gli striminziti tempi del pop. Il risultato è una scorciatoia ancora tutta da solcare, un album di certo sperimentale ma ancora fuori fuoco, la cui indeterminatezza è anche sintomo di incertezza. Lindstrøm ha un po’ smarrito la rotta nell’euforia del ritorno, gli consigliamo di ricontrollare la mappa, resettare i controller e proseguire con più sicurezza.
Intanto per questo 2012 si ferma un giro e passa il turno.