A seguito della pubblicazione del singolo “Tour De France”, durante l’estate del 1983 era prevista la release di un album dei Kraftwerk intitolato “Technicolor”, ma non se ne fece nulla, in quanto il marchio era già stato registrato da un’altra azienda. Un nuovo (provvisorio) titolo venne involontariamente suggerito dal giornalista francese Paul Alessandrini, che aveva descritto la musica della band come “Techno Pop”. Fu così approntata una copertina che, basata su un frame del videoclip di “Trans-Europe Express”, ritraeva le immagini dei quattro musicisti, riportando in alto il nome del gruppo in lettere rosse, mentre le foto interne sarebbero state tratte dalla performance di “Pocket Calculator” in tv a “Domenica In” del 1981. Ciò nonostante, i dubbi emersero copiosi.
Al di là delle ripercussioni sul lavoro dovute all’incidente ciclistico che aveva gravemente coinvolto Ralf Hà¼tter, il mondo era forse cambiato troppo per i Kraftwerk, che avrebbero voluto stare al passo con i suoni dance americani (infatti, l’album venne poi mixato da Franà§ois Kevorkian). In quel periodo Michael Jackson ““ fan degli stessi Kraftwerk, che non esitò a contattarli (senza successo, perchè i quattro erano soliti rifiutare ogni tipo di collaborazione) tempo dopo per utilizzare il multitraccia originale di “The Man Machine” (1978) ““ aveva già pubblicato “Thriller” (1982), destinato a essere l’album più venduto della storia della musica, le cui tracce erano state costruite grazie ad un sapiente uso dei nuovi suoni elettronici disponibili.
Bisognava correre ai ripari, pena il rischio di essere superati, se non estromessi, dalla storia. Fu così che i Kraftwerk annullarono l’imminente release e cancellarono persino il tour in Gran Bretagna, preferendo ignorare ogni tipo di speculazione della stampa e gettandosi a capofitto nell’upgrade digitale del Kling Klang Studio grazie a nuove strumentazioni importate dagli Stati Uniti. Ciò non implicò alcun rocambolesco cambio di rotta sonora: i Kraftwerk, consapevoli delle proprie capacità , continuarono a ritenere che le loro idee potevano adattarsi alle nuove tecnologie. Fu così che decisero di far ascoltare i propri pezzi solo a un ristretto numero di persone fidate, quasi tutti dj tra quelli più in voga allora in Germania, come Karol Martin o Boris Venzen.
Non è dato sapere se il neo-intitolato “Electric Cafe”, inspirato dal film “Cafè Elektric” (1927) con Marlene Dietrich, sia infine stato solo una rielaborazione digitale di “Techno Pop”, ma la sua uscita nel 1986, per la prima volta anche in cd (malgrado la durata di 45 minuti), mise fine all’attesa dei fan sparsi in tutto il mondo. L’album fu preceduto dal singolo “Musique Non Stop”, accompagnato da un videoclip rivoluzionario per il quale fu ingaggiata Rebecca Allen, esperta di animazione computerizzata all’Institute Of Technology di New York: dalle sue immagini venne poi tratta l’idea della copertina di “Electric Cafe”, che ritraeva i quattro inanimati volti dei Kraftwerk, intesi come robot e ridisegnati al computer senza rendering finale, ma solo con la struttura delle loro forme.
Un comunicante villaggio globale tenuto insieme da denaro, musica e sesso è quanto traspare da “Electric Cafe”, in parte lontano dalle fascinazioni tecnologiche di “Computer World” (1981) e altrettanto distante dall’approccio fortemente concettuale degli album da “Autobahn” (1974) a “The Man Machine” (1978), che ruotavano tutti intorno a un tema specifico. Tra i primi albori della techno di Detroit e l’inizio di uno spostamento (ben più che geografico) dell’house dagli Stati Uniti all’Europa, le prime tre tracce dell’album erano comunque legate fra loro da uno o più pattern in comune, tendendo non solo metaforicamente la mano alla dilagante filosofia dance del contesto musicale generale. La suite, non a caso espressa attraverso un cantato in più lingue (inglese, spagnolo, tedesco), esprime temi cari alla band, quali la sintetizzazione e la tecnologizzazione dei suoni elettronici, forieri di nuove idee, che caratterizzeranno un futuro sempre più industriale.
La romantica “The Telephone Call”, secondo singolo estratto, inaugura la seconda parte del disco, la più funky e, soprattutto, la più “umana” di sempre. A partire dalla robotica voce femminile di una segreteria telefonica che ricorda che “il numero da lei selezionato è inesistente”, gli uomini-macchina di Dà¼sseldorf misero per la prima volta in scena una relazione fra una donna e un uomo, evitando di parlare apertamente d’amore, ricorrendo stavolta alla voce di Karl Bartos (anzichè quella solita di Ralf Hà¼tter) nel limitarsi nel descrivere un rapporto di coppia che apparentemente sembra a senso unico, laddove vi sono inevitabili distanze, non solo telefoniche. L’apparecchio diviene così un tramite per poter ascoltare l’altrui voce. “House Phone”, presente solo nella versione rimasterizzata del 2009 (che ha poi adottato come titolo proprio “Techno Pop”), viene posta in sequenza, aggiungendo un ulteriore coda alla traccia precedente.
Il testo di “Sex Object”, accompagnato da un superbo groove con tanto di basso slap e accenno di chitarra, fu tra i più singolari della discografia del gruppo tedesco. Le sue parole sono una presa di posizione da parte del soggetto narrante che dichiara alla sua partner di non voler più essere un mero oggetto sessuale, richiedendole maggior rispetto dopo essere ricorsa ad alcuni trucchi. L’ennesima voce femminile computerizzata fa, invece, da contrappunto, esprimendo il dubbio, la voglia o il rifiuto di incontrarsi. Sorretta dai tappeti arpeggiati dei sintetizzatori, la chiusura di “Electric Cafe” fu affidata all’omonima traccia che riprende i temi iniziali, vale a dire l’influenza della musica elettronica nel pop, elogiandola per le sue caratteristiche. Complice un testo che, fino al ritorno sulle scene con “Tour De France Soundtracks” (2003), è stato considerato al pari di un epitaffio, e l’aggiunta di timbri più oscuri, “Electric Cafe” si chiudeva in un un’aria inquietante.
L’album fu tiepidamente accolto dalla critica e, per volere di un gruppo che mai avrebbe voluto associare il proprio nome a quello di un prodotto commerciale, non venne promosso da un tour o da apparizioni televisive. Persino le conferenze stampa furono limitate. Eppure la produzione era stata eccellente, con suoni curati all’estremo più che in ogni (capo)lavoro precedente. Rispetto a un trionfante passato analogico, il digitale “Electric Cafe” può dunque essere apparso come spurio. I fan della prima ora non lo accettarono, nè lo compresero perchè, apparentemente, aveva meno intensità , poesia, ritmo, se non visionarietà allo stato puro. In realtà , in piena era MTV, il sottovalutato “Electric Cafe” è stato apprezzato da dj e produttori che, da New York a Chicago, passando forzatamente per Detroit, ne hanno fatto propria la lezione di “musica elettronica / figura ritmica / arte politica / de l’era atomica”, parole-chiave per ri-elaborare il futuro dei generi musicali.