Un disco dei Mars Volta? Esistono ancora? Dico io, nel 2012 ancora quella sbobba prog che ci ha entusiasmato per un paio di anni (diciamo fino a “Frances The Mute” – un’opera davvero geniale, ammettiamolo) poi ha iniziato talmente tanto a ripetersi e ad avvitarsi su se stessa (vorrei scrivere “a farsi troppe seghe mentali” ma purtroppo non posso) che improvvisamente ci siamo scoperti tutti orfani degli At the Drive-In ed abbiamo smesso di ascoltarli?
Sì, i Mars Volta esistono ancora e tanto per gradire se ne sono usciti fuori con il disco che non ti saresti mai aspettato da loro (non oggi, non dopo una roba immonda come “Octahedron”). Sono diventati più concreti ed incisivi ““ per certi versi più punk, anche se non sarebbe male se “Noctourniquet” fosse un po più asciutto e durasse almeno una decina di minuti in meno ““ ed oggi suonano più o meno come avrebbero suonato gli At the Drive-In se dopo “Relationship of Command” non si fossero mai sciolti ma avessero deciso togliere il piede dall’acceleratore insistendo sulla loro componente epico-drammatica (qualunque cosa possa voler dire il termine “componente epico-drammatica”, qualunque cosa si possa scrivere pur di non citare i Radiohead e tutto ciò che è venuto dopo “Kid A” ed “Amnesiac”) lasciando un attimo da parte la furia hardcore (o post-hardcore, per i grandi fan delle etichette da utilizzare per includere un gruppo in una determinata categoria). E dunque, minutaggio medio-lungo, meno svolazzi chitarristici (“The Malkin Jewel” pare uscita dalla mente di un Tom Waits in fissa gothic), più elettronica spuria in stile primi Anni Zero (“Trinkets Pale Of Moon“), molta più paranoia, Cedric Blixer che usa la voce in maniera più matura (“Aegis” e la sognante “Empty Vessels Make The Loudest Sound” – forse il pezzo migliore del lotto), una ritmica che spesso e volentieri non si sa proprio dove voglia andare a parare (quella di “Lapochka” è batteria o drum machine?), capacità di crescere ascolto dopo ascolto e parlare al cuore dell’ascoltatore, canzoni.
Ecco, canzoni. Il punto sta proprio qui. Certo, alcuni momenti del disco sono talmente kitsch da rasentare l’incredibilmente imbarazzante o al contrario l’assolutamente sublime (“Zed And Two Naughts”, segno che certe scorie prog che in passato hanno contraddistinto la proposta musicale della band americana sono dure da eliminare), certi altri sono da mettere bene a fuoco (“Dyslexicon” non riesce a convincere), ma da qualunque parte la si voglia vedere un disco del genere è la prova provata che i Mars Volta sono di nuovo fra noi e sono una band che può ancora dare parecchio. Basta solo non liquidarli dopo un paio di frettolosi ascolti, basta solo che si decidano una buona volta a diventare più pop e più digeribili, più terra terra e meno sperimentatori. Le potenzialità le hanno tutte, bisogna vedere se ci stupiranno dimostrando la volontà di farlo.