Da sempre siamo stati abituati a vederlo nei panni del comprimario e sacrificato a dettare i tempi, da dietro la sua batteria, negli anche suoi Fleet Foxes, cosicchè i suoi lavori da solista sono sempre rimasti abbastanza nell’anonimato e il suo talento, e ce n’è tanto, piuttosto inespresso. Tuttavia, finita la tournèe al fianco di Pecknold &co., Joshua Tillman ha deciso di lasciare il gruppo, non tanto per dedicarsi da subito a questo nuovo progetto, quanto, inizialmente, per prendersi una pausa di riflessione. Ecco perchè ha deciso di trascorrere qualche mese, da solo, con una penna e una risma di carta (niente chitarra, niente strumenti, nulla che avesse che vedere con la musica), all’interno di un caravan girovagando lungo la costa del Pacifico.
Di certo non pensava che da tutto ciò sarebbe uscito questo suo ‘mostro’, questo Father John Misty (è tutto e niente di me”…avevo bisogno di un alter-ego, di un cartone animato cui dar voce), ne tanto meno questo “Fear Fun”. Piuttosto tutto lasciava presagire che il barbuto polistrumentista si sarebbe dedicato alla scrittura romanzata (sul suo tumblr sono, o almeno erano, presenti alcuni racconti).
E invece eccoci difronte a queste dodici tracce nate negli studi dell’amico Jonathan Wilson e prodotte da Phil Ek già al lavoro con Band of Horses, gli stessi Fleet Foxes e Shins.
“Fear Fun” non è il primo lavoro solista di Tillman, che dal 2005 a questa parte ha dato alle stampe, per conto suo, ben dieci dischi (tra ep ed album). Nulla che però avesse a che vedere con questo nuovo lavoro, che rappresenta una sterzata, abbastanza brusca, rispetto ai precedenti, molto più scarni e intimisti “Vacilando Territory Blues” e “Singing Ax”. Sì, perchè nelle dodici nuove tracce c’è dell’altro rispetto al solito folk primitivo.
Se è vero che ballate ‘vecchio stampo’ non mancano (“Funtimes In Babylon”, “O I Long To Feel Your Arms Around Me”, “Now I’m Learning To Love The War”), è anche vero che Tillman cerca di dare un tocco di colore con momenti che spiazzano, vedi il r&b di “Nancy From Now On” o il country al peperoncino di “Tee Pees 1-12”. Nel mezzo il ‘barbuto’ rivendica il suo ‘orgoglio’ americano con pezzi squisitamente a stelle e strisce: il rock puro (non tanto duro) di “Hollywood Forever Cemetery Sings”, il blues di “Well, You Can Do It Without Me” (che profuma di Mississipi), il country di “I’m Writing Novel” e il semi-gospel di “Only Son Of The Ladiesman” costituiscono difatti la spina dorsale del disco.
Alla fine di questi quarantacinque minuti si rimane, e non può essere altrimenti, soddisfatti e viene solo da ringraziare Tillman della sua scelta, abbastanza sofferta, ok, ma anche altrettanto fruttuosa.