I fratelli Brewis, cuore pulsante dei Field Music, hanno dichiarato in un’intervista di volersi scrollare di dosso l’immagine indie che il gruppo si portava appresso uscendo di casa la mattina. Suicidio commerciale? No, ai Field Music non gliene potrebbe fregar di meno, loro non fanno musica per ragioni finanziarie, loro non sono ‘commercially minded’!
Sarà per questo che la critica li ha premiati? Sarà per questo che loro stessi si sono premiati?
Il punto a loro favore che io personalmente gli attribuisco è quello di credere che i gusti del pubblico coprano un’ampiezza più rilevante di quella che le maggiori case discografiche promuovono: ecco perchè i Field Music non hanno paura di cambiare.
“Plumb” è un album di 40 minuti: poco, se si conta che le canzoni sono 15… le prime tre si possono accorpare naturalmente a formare una mini suite, preludio di una “A new town” a dir poco geniale. I Brewis pescano parecchio dal grande sacco del passato, soprattutto quello della tradizione prog, e su questo non ci sono dubbi. Come non riconoscere dei falsetti alla Peter Gabriel o esperimenti con la chitarra in stile Yes? Insomma, a chi volete darla a bere? La hit dell’album dice I keep thinking about a new thing, e quale sarebbe questa nuova cosa?
Il voto sarà per forza esito di una media tra idee potenzialmente interessanti e sviluppo delle stesse alquanto scarno (presto e bene non stanno insieme, è risaputo). Questa fretta nel finire le canzoni porta soltanto ad un imbarazzante vuoto nell’orecchio dell’ascoltatore: finisci d ascoltare i cd e pensi: ” e adesso?”. Rimani spaesato: cambiamenti di tonalità che non portano a niente, aspettative di assoli illuse e in definitiva, troppo poco di quello cui i Field Music con il loro prog/pop ci avevano abituato.