Graham Coxon appartiene a quella schiera di musicisti a cui piace ancora giocare. A quarantatre anni si è ancora giovani, ma non certo ragazzini. Però, la musica dell’ormai non più- ex ““ Blur sembra quella di un ventenne che ama baloccarsi con gli strumenti più vari. Il ragazzo in questione è senz’altro uno dei chitarristi più personali e riconoscibili della sua generazione, ma in compenso armeggia anche con altri strumenti, tastiera e sax in primis. E quest’ultimo parrebbe addirittura un nuovo acquisto. La sua carriera solista sfiora i quindici anni di età e tocca gli stili più vari: in prevalenza reminescenze del gruppo in cui è divenuto grande, non disdegnando un gusto tutto suo per le sperimentazioni, senza tralasciare il (power) Pop, e non facendo mancare all’appello neanche una sua idea di folk e “canzone d’autore”, come avvenne per l’ultimo “The Spinning Top” del 2009.
Oggi, niente più folk per l’occhialuto inglese. Si va in direzioni diverse: sembra che la sua chitarra si sia fatta una bella scorpacciata di krauti, e il suo senso ritmico un indigestione di Dance e di Post ““ Punk. Mescolando i sopracitati elementi con l’attitudine british e un po’ scanzonata di Graham, ci troviamo davanti “A + E”, disco col quale riesce a stupire ancora, a colpire per bravura, coraggio, inventiva, voglia di divertirsi e di far ballonzolare l’ascoltatore. Le concessioni alla melodia non sono poi molte, se si tolgono la prima traccia e la conclusiva, rispettivamente “Advice”, un pezzo matto in pieno stile disco omonimo dei Blur, e “Oh Yeh Yeh”, dalle tonalità elettroacustiche, forse la più cantabile in questi dieci episodi che spaziano su territori senza dubbio più rumorosi e meno accessibili. C’è la caustica “City Hall”, con voce in lontananza a mo’ di eco e il ritmo puntato sul repeat ad accompagnare le sferragliate chitarristiche. Abbiamo l’ottima, danzereccia “What I’ll Take”. Ruvida e claustrofobica, come un po’ tutto il disco, lo è “Meet And Drink And Pollinate”, con tanto di voce robotica. E a questo punto, riusciamo quasi a non farci cogliere di sorpresa dai paesaggi stoner di “The Truth”, immersi poi in un contesto che è sia Kraut che Space. Una sanissima follia regna sovrana: per capirlo basta ascoltare brani quali “Running For Your Life”, “Bah Singer” o i dilatati sei minuti e mezzo di “Knife In The Cast”, scanditi da un roboante, marziale basso.
Uno dei dischi più interessanti d’ambito “rock e dintorni” finora partoriti dal 2012, e anche uno dei migliori del Coxon solista: un riuscitissimo mix di ciò che il chitarrista ““ cantante ha ascoltato, amato ed assorbito ultimamente. Il tutto riletto alla sua maniera, con piglio un po’ garage e un po’ lo ““ fi, e a suo modo anche leggermente Pop. Non era per niente facile riuscire nell’intento senza spersonalizzarsi. Lui ce l’ha fatta, e ora sono solo applausi.