Al secondo disco, dopo l’esordio “Lo-Fi, Back to Tape” uscito nel 2009, il pescarese Jester At Work (all’anagrafe Antonio Vitale) s’ispira, sin dal titolo che evoca il grande navigatore portoghese, ad atmosfere marittime, ai grandi spazi dell’oceano, alla solitudine del viaggiar per mare: “Magellano” è un album che sfugge alla modernità (coraggiosa e azzeccata la scelta di registrare in analogico l’intera opera) e si mostra nudo all’ascoltatore.
Sin dall’iniziale “The Branch” ci troviamo di fronte un cantautore capace d’interpretare il folk con grande personalità , nonostante un timbro vocale che potrebbe ricordare nomi più altisonanti. Le trame di chitarre, le sparute percussioni ci propongono un album sincero e disincantato, quasi commovente nel suo intimismo.
Non lasciatevi trarre in inganno, però, da quanto detto: Jester At Work rifugge ogni anacronismo, non ci troviamo di fronte ad un misero emulo di Bob Dylan o Neil Young, ma ad un artista capace di addentrarsi in territori ora psichedelici (“Green Eyes”) ora cupamente livorosi (“Deep Black Sea”), di mostrarsi inaspettatamente orecchiabile (“Remember to Remember” complice anche il delicato mandolino di Andrea Di Giambattista), di abbandonarsi ad astratte tentazioni latine (“Estaà§ion 14”) e flirtare persino con un’elettronica poco invadente e molto stratificata nella conclusiva “Alphabet Tree”.
Rimarrà un ascolto probabilmente di culto, però “Magellano” è un disco prezioso che merita (e si valorizza) con ripetuti ascolti.