Team di scienziati e filosofi, se riuniti sotto lo stesso tetto, vi diranno che la forma del WC, come la conosciamo noi, non è perfettibile. è efficiente, eticamente accettabile e si adatta ai gusti e alle esigenze di tutti. Che il cesso sia la prova che l’oggetto, in una civiltà post-industriale possa trovare una forma che non si presti a migliorie, è un’idea poetica ma lungi dall’essere considerata accettabile. Sebbene, va detto, inizia ad essere opinione assai diffusa che la pratica del continuare ad aggiungere lame ad un rasoio da barba sia un’operazione destinata a spegnersi su se stessa quanto prima, in un procedimento del tutto simile a quello che ha interessato l’evoluzione della cabinet d’aisance. Staremo a vedere.
John Lydon (aka Johnny Rotten) non è perfettibile: è efficiente, eticamente accettabile e, aggiungiamo, oramai immutabile. Un nuovo album del Public Image Ltd a vent’anni esatti dal precedente “That is what is not” non è certamente notizia da prima pagina ma ci restituisce un Rotten che si era perso tra la pubblicità del burro e le idiozie catodiche del corrispettivo britannico de “L’Isola dei Famosi”. Lui, che famoso lo era per davvero, resistette stoico in una foresta per 10 giorni raccogliendo così il denaro necessario per un nuovo lavoro della sua band. Fin qui la leggenda.
La realtà vede invece un nuovo album che spazia dal reggae al dub passando per accenni disco e frattaglie post-punk con un solo minimo comun denominatore: la sua presenza. La musica è eterogenea quanto basta per essere interessante ma l’impressione è che, avendo sott’occhio album come “Metal Box” o persino il controverso “Paris au Printemps”, questa sia oggi casualmente un accessorio necessario ma non indispensabile.
Le derive sperimentali sono state rimpiazzate da dinamiche pop (non dal genere, quindi, ma da ciò che lo muove), le urgenze sonore di ossessioni come “Careering” o “Bad Baby” sono ora stesure A-B-A-B-C di un’ottima band (Scott Firth, Lu Edmonds e l’inossidabile Bruce Smith) che suona, beh, in maniera ottima.
Il dub del primo singolo “One drop” o di “Lollipop opera” non riescono a ridefinire il post-punk in maniera efficace come fecero i primi album forse proprio perchè manca un qualcosa a cui anteporre la parola “‘post’. Essere “‘oltre’ in un ambito confuso e variegato come quello odierno, d’altronde, è tutt’altro che impresa facile. Il valore di “This is PiL”, perciò, è strettamente legato al risultato immediato, alle sensazioni che può donare un buon disco pop (non il genere ma ciò che questo muove) con buona pace dell’intelletto. E allora, giudicando l’album solo ed esclusivamente per ciò che vale (ovvero il prezzo pagato), cosa ne esce? Un lavoro a tratti stanco e poco ispirato che si regge sull’esperienza dei musicisti e che, come detto, gira e rigira sulla personalità (a)carismatica di Lydon e sul suo essere un artista perfetto proprio perchè oramai lontano da qualsivoglia accenno di maturazione o ispirazione.
I am from London / Many of us come from London / No matter where you come from / You can still be a better person (“Reggie Song”). Ovvio. Ovvietà .
La realtà del WC, dicevamo, è oramai quella di un artefatto che ha raggiunto il picco della sua gloria. Cambiano i sanitari di contorno, le piastrelle, cambiamo noi che ci facciamo più larghi e più cupi. Ma lui no, lui non muta mai. Lo amiamo per la sua prevedile affidabilità nel momento del mero e impellente bisogno.
Photo: ΣπάÏτακος / CC BY-SA