A Phil Elvrum piaceva l’idea di fare a piedi ogni giorno il tragitto da casa allo studio dove avrebbe suonato “Clear Moon”. A Phil Elvrum piaceva l’idea di tornare a Anacortes, Washington, e adibire una chiesa sconsacrata a studio di registrazione”“ sarebbe stata il suo santuario dedicato alla religione del ritorno, all’essere di nuovo nella propria hometown. è la mistica banale, necessaria e rivelatoria che ti spiega che il rumore dei tuoi passi lungo queste strade e le foreste della Fidalgo Island e la vista dal Mount Erie fanno parte di te, e che lo faranno per sempre; tu sei (in) questi luoghi.
Mount Eerie ce lo dice subito, quella vista, quella montagna sono io, sono il mio nome e la frase misunderstood and disillusioned/I go on describing this place con cui si apre “‘Clear Moon’ è solo cronaca di un’epifania avvenuta da tempo.
è sufficiente averlo capito? La religione dei ritorni è confortante come ci si aspetta?
“Clear Moon” è la scoperta dei legami non reciproci: le foreste, la luna non hanno orecchie per sentirci, mani per afferrarci; non a caso nel disco si ripete rocks and water and wood are not speaking to me. è come se in questo album Mount Eerie cercasse di catturare i luoghi nella loro essenza eterna: the place lives, canta in seconda battuta e the place I live compare solo dopo, ma la natura è un dio che non t’ascolta, non ci illudiamo. Eppure questa volta la presenza dell’artista americano è più corporea di quanto non fosse nel precedente “Wind’s Poem”: I go on describing this place, va detto, continua con and the way it feels to live and die ““ se il mondo non s’accorge di me, io pure esisto, la mia musica è la mia certificazione di presenza, per quanto questa sia piccola (e in questo con I meant all my songs not as pictures of the wood, but just to remind myself that I brefly live, sempre da “Through the trees pt. 2”, non potrebbe essere più chiaro).
La voce di Elvrum si fa spazio tra i sintetizzatori, ibridando canzoni da camera suonate in cattedrali vuote con suoni elettronici, profondi, ora più chiari: si afferma, si muove bene tra la cupezza e le sonorità che sembrano sempre essere là per cancellare la sua presenza, come se tutto quello che gli sta intorno giocasse a riprendersi uno spazio che non solo è proprio, ma che non nota neanche che lui è là .
It’s the end of the world (as we know it): “House Shape” è l’apocalisse, dove anche le case, ultimi rifugi, sono vuote e senza memoria d’essere umano: una traccia liberatoria, come una celebrazione di tutto ciò che crolla, si spoglia delle resistenze ““ la traccia da suonare alle feste per la fine del mondo.
Nella parte finale del disco risuona Il giorno dopo l’uragano: la città è dimenticata e dimentica di se stessa, poche macchine scorrono sulle interstatali, svanendo nella nebbia e nessuno ricorda più se siamo a Anacortes o persi in un paesaggio lontano; poi improvvisamente in lontananza si sentono delle campane, nel cielo appare la “‘clear moon’ del titolo, quieta e minacciosa. Cosa succede dopo? Mount Eerie ha promesso un secondo album quest’anno, “Ocean Roar”: lo lasciamo sull’orlo dell’abisso in “Over Dark Water”. Non ci resta che esplorarlo.
2. The Place LivesӬ
3. The Place I LiveӬ
4. (something)Ӭ
5. Lone BellӬ
6. House ShapeӬ
7. Over Dark WaterӬ
8. (something)Ӭ
9. Clear MoonӬ
10. Yawning SkyӬ
11. (synthesizer)