E’ un po’ triste il fatto di essermi avvicinato a questo disco cercando di ipotizzare come Neil Young avrebbe potuto fare meno danni possibili. Troppo forte il ricordo degli ultimi fiacchi dischi della sua produzione, arresasi all’inevitabile parabola discendente di un artista vicino ai settant’anni. L’aver prosciugato le riserve della propria ispirazione non è un reato, ma sarebbe meglio centellinare i nuovi dischi onde evitare di sembrare la patetica caricatura di se stessi. “Americana” prova in parte a cambiare le carte in tavola proponendo con cui il Nostro proava a riaffermare le proprie radici in una manciata di brani tradizionali americani reinterpretati con i vecchi sodali dei Crazy Horse. Il paradosso è che la musica di Neil Young non avrebbe bisogno di tutto questo proprio per quanto è riuscita a rappresentare nel solco della tradizione folk americana degli ultimi quarant’anni.
Il disco si presenta come la classica opera ben confezionata, suonata con tanto mestiere e la rotta segnata dal pilota automatico. Ci sono i Crazy Horse e c’è il loro folk rock ruvido e ubriaco , perfettamente incastrato nello stile tradizionale dei brani presentati. Un’opera classica nella forma e nel contenuto, sicuramente meno stanca di alcune produzioni precedenti e che non può, per genesi e costruzione, riscattare del tutto un’artista che il meglio di sè lo ha abbandonato già da tempo. Resta un piacevole diversivo in chiave folk per l’estate parca di dischi, capace di regalare qualche spensierato momento all’ascoltatore, come nel caso della “God Save The Queen” in chiusura, unico brano non appartenente alla tradizione a stelle e strisce, ma comunque ricco di significato per la storia degli USA.
Foto Credit: Danny Clinch