Giunto alla sua terza edizione, il Northside Festival inizia ad affermarsi nel panorama delle rassegne estive europee con un programma di tutto rispetto, da far leccare i baffi ad ogni IndieConiglio.
Ed è così che in un giorno di giugno, armata di tutta l’attrezzatura fotografica, che mi ha costretto a barare sul bagaglio Ryanair nascondendomi lenti e carica batterie in ogni tasca, parto alla volta di Aarhus, la seconda città di Danimarca, che ospita il festival.
Arrivata all’aeroporto di Billund, e saggiate le condizioni metereologiche, ho subito il presentimento di star per piombare nella Glastonbury Scandinava (missione numero uno: comprare stivali di gomma di emergenza).
Puntualissimi controlli, adesivo di ordinanza sulla Nikon, e si entra. L’area del Festival brulica di iniziative, attività , arte, murales, attenzione al green living e di un pubblico piuttosto giovane di una bellezza e di uno stile imbarazzanti: orde di modelli e modelle di Vice, ma più naà¯ve e senza spocchia. L’accoglienza per IndieforBunnies, benchè scandinava, è calda: tutti sono felici di ospitare “la stampa italiana”, ed è subito impossibile non notare l’organizzazione marziale, la macchina perfetta che regge questo festival, se pur piccolo e nuovo, già dalla press area e dal coloratissimo backstage. Persino la app ufficiale per smartphone è strepitosa: scalette in tempo reale, info geolocalizzate, tweet e gallery fotografiche proiettate sui megaschermi, tra un live act e l’altro. Giusto il tempo di dare un’occhiata agli intrattenimenti da backstage (un “tiro a segno in cui sparare ai fiori”, un enorme tronco, in cui piantare enormi chiodi) e si va: un membro dello staff ci accompagna sotto lo stage.
Ci accoglie il rock americanissimo dei The Gaslight Anthem, carichi e caldi, che subito mi proietta nell’atmosfera del festival. I ragazzi del New Jersey, pura energia old style, suonano di fronte ad un pubblico del primo pomeriggio ancora non vastissimo e piuttosto rilassato”…parecchi fans entusiasti ma anche molti danesi che sembrano lì più per bere birre sul prato che per ascoltare i gruppi!
Corriamo verso l’altro palco dove Miles Kane, che conoscevo più che altro dai Last Shadow Puppets, lasciati i The Rascals, si esibisce da solista. Atmosfera 60’s , brio da rockstar, il ragazzo di Inhaler trasuda british style, dai capelli al fondo dei pantaloni stretti alla caviglia.
Ed è poi la volta della prima delle Donne del programma, in un festival che si rivela caratterizzato e impugnato da sorprese tutte al femminile. Marina (and The Diamonds) è un’esplosione di tette e carisma, una sensualissima performer dal look sixties che non lascia dubbi sul titolo di uno dei suoi pezzi più famosi, con cui conclude il concerto: Primadonna. Il pubblico balla e si entusiasma sul suo timbro profondo e particolare, applaude i cambi d’abito e le moine di Bubblegum Bitch. Non mancano tutti i pezzi più amati: “I am not a robot”, “Hollywood”, “Homewrecker”, “Champagne”, “Mowgli’s Road””…Marina, alla sua prima data Scandinava, zeppe e veletta, seduce non solo le ragazze, che come lei si disegnano un cuoricino sullo zigomo, ma un pubblico vario e vasto.
La mia intuizione sul filone femminile di questo festival trova conferma sull’altro palco: Nanna à’land Fabricius, sul palco Oh Land conquista già dall’outfit:un abito scultura dorato che fa esclamare accanto a me:”Soooo Gaga!”. L’ex ballerina danese, bella come una dea vichinga, canta una delle sue hit più famose “Sun of a Gun” e incanta con ritmi che scivolano dal trip hop alla dance.
Scarmigliati, arruffati, indie ai confini della sfiga nei loro maglioni spessi, i The Kooks sembrano capitati sul palco per caso. Coppie bionde ballano nella folla mentre la band inglese alterna i tormentoni che li hanno resi celebri (anche negli spot) “Naive”, “She mooves in her own way”, “I wanna make you happy” ai più recenti “Rosie” e, personalmente la mia preferita, “Eskimo Kiss”.
Una delle poche note stonate è l’assenza (molto sofferta da parecchi danesi che sembravano aver comprato il biglietto apposta) dei fratelli Mumford, a causa della frattura alla mano del cantante ,a due giorni dal concerto. Al loro posto, sotto il primo dei veri diluvi, suona Veto, popolare electro performer della scena danese.
Sotto la pioggia, mi aspetta una vera sorpresa, che avevo forse un po’ sottovalutato: quando i DAD, (nati col nome di Disneyland After Dark) una delle rock band “classiche” più celebri in Danimarca, esplodono sul palco, è il vero rock’nroll. Questi 50enni esplosivi, capelloni e ironici, nati nel cowpunk e passati in 30 anni e 11 album fino all’hard rock, sono famosi per gli strumenti eccentrici, sembrano degli Iggy Pop nordici: infiammano il pubblico coinvolgendolo con una performance spettacolare, che nemmeno la pioggia riesce a spegnere; e io che non sono una fan del genere rimango completamente stregata da un live act di qualità . Non sono la sola a pensarlo, visto che vicino a me, Gaspard, metà dei Justice, sta fotografando entusiasta la performance con lo smartphone.
All’imbrunire nordico, sono circa le 23 ,è la volta di una delle band più attese, una delle più seguite di quest’anno: piove ancora e The XX conducono una performance intima, quasi un po’ statica, anche se l’intrecciarsi delle voci di Romy e Oliver sui suoni elettronici è sempre onirico ed emozionante.
A mezzanotte e mezza, sullo stage troneggia una croce di neon, e le avversità metereologiche passano decisamente in secondo piano: gli stivali di gomma nel fango, le mantelle antipioggia che si sfregano, i capelli bagnati sulla faccia sono la divisa di una folla che balla sul sound dei Justice. Composti, fermi, i due francesi sembrano quasi scomparire dietro la consolle, schiacciati dalla imponente scenografia composta da luci e dai loro soliti 18 Marshall, che sparano tutti i brani del nuovo album. Ma come ogni volta, come tirando dei fili invisibili di electro, house, funk e rock ci muovono tutti come marionette”…E non ci resta altro che ballare.