And all I see is life, life in a beautiful light. Con il candore di queste parole, Amy MacDonald rivela tutta la sua piacevolezza. Parliamoci chiaro, lei funziona. Musicalmente non affonda mai in sciatterie riempitive e si è certi di veleggiare in modo gradevole, anche senza gridare al miracolo. Le sue note, gli album piacevoli, la voce graffiante mai zuccherosa, ne fanno apprezzare il talento, ed è difficile obiettare il contrario.
La cantautrice scozzese profondamente radicata nella propria terra natia giunge alla sua terza fatica musicale. Pochi eccessi, molta consuetudine ed un modus operandi di sicuro affidamento. Folk rock melodico, mai smielato nei contenuti e nelle sonorità , dai ritornelli orecchiabili ed immediati. Il singolo che ne sancisce il ritorno è ” Slow it Down “, brano affascinante ma poco ispirato, dalla forte continuità con gli album precedenti; una sensazione di deja vu e di autocitazionismo che si percepisce più volte durante tutto l’album. Il contesto di fondo, però, è complessivamente gradevole, a partire da “4th of July”, che è canticchiabile, dal ritornello arioso e dalla struttura ritmata. ” Pride ” ha invece la cadenza da balera, incastonata in una struttura country molto forte. “The Game ” è avvolta da una struttura pop-rock classica e diventa un brano dolcissimo e malinconico mentre “Across the Nile ” , “The Days Of Being Young And Free “, ” Life in a Beautiful Light ” e ” The End ” sono gli episodi ripetitivi e noiosi dell’album. Meglio concentrarsi sulle due rimanenti. “Left That Body Long Ago” e ” Human Spirit “. La prima, dedicata alla nonna vittima del morbo di Alzheimer, è una canzone dal ritmo lento e dall’atmosfera sognante; la migliore del disco e forse della sua intera produzione. La seconda invece risulta essere meno monocorde delle precedenti, un pezzo breve senza ritornello e a tratti rabbioso.
This is Amy , folk-pop capace di non scadere mai nel l’indecenza e affascinante nella sua linearità .