George Lewis Jr. non ha nulla a che fare con Elvis, solo un ciuffo ereditato da un barbiere di Brooklyn: suo padre. Uno che a New York ha passato anni della sua vita a cercare vecchi vinili di musica disco italiana e europea perchè folgorato. In bilico tra gli ultimi settanta e i primi ottanta, tra un Bowie berlinese e degli Smiths ispiratissimi, aveva già svuotato il sacco appena due anni fa con uno splendido album di esordio: “Forget”. New wave, synth pop, glo-fi, tanto per non sembrare il tipo snob e fuori tendenza.
Ma a George Lewis Jr. devono essere rimasti sassolini nella scarpa. Qualche idea in avanzo. Qualche intuizione di cui avrebbe dovuto sbarazzarsi per sentirsi pulito. Passano due anni e quelle idee si fanno grandi. “Five Second” è un’idea meravigliosa confezionata con chitarra e tastiere dall’alto tasso seventies. “Patient” è un pezzo disco che negli anni ottanta avrebbe fatto allegramente ballare. Sono ricordi presi in prestito quelli di Twin Shadow. Universi mai vissuti ricostruiti con maniera, ma pure con sentimento. “Run My Heart” è come aprire l’armadio di tuo padre rimasto chiuso per vent’anni e passa e provarsi una vecchia camicia, una vecchia giacca, un vecchio pantalone.
Qualche chitarra in più. Idee più mature. Sono i piccoli passi avanti di “Confess”, niente di epocale. “Golden Light” apre il disco così come la title track chiudeva il precedente “Forget”. “Be Mine Tonight” lo chiude eludendo alcune domande. Evitando qualche scomoda risposta. L’idea è che George Lewis di colpi da sparare ne abbia ancora, l’impressione è che alla lunga possano smettere di far male.