Tre anni fa l’album d’esordio dei Passion Pit, “Manners”, mi sorprese positivamente. Nel calderone dell’indie-pop britannico, lo ritenni uno dei lavori più freschi, originali e dal potenziale maggiormente esplosivo, tale da rimanerne totalmente affascinato. Ritmo frenetico, piglio elettronico, inclinazione dance, songwriting semplice ma efficace erano gli ingredienti di successo della band americana, guidata dalla voce e dalla personalità  del cantante Michael Angelakos (affetto da disturbo bipolare intensificatosi a seguito dell’enorme successo generato dal disco di debutto)
Dunque l’idea di un loro secondo disco mi allettava moltissimo, e confidavo in una loro definitiva conferma, cosa che in parte accade.

Cominciamo dal fatto che “Gossamer” ha un alone diverso rispetto a “Manners”. Più curato del precedente, si lascia ascoltare per le sfumature sviluppate più a fondo. L’anima elettro-pop del primo disco si evolve in composizioni sintetiche rifinite e melodiche, tra un compendio di cornici elettroniche, luci e suoni astrali e vivacità . Lasciatevi avvolgere, ad esempio, dall’opener e singolo di lancio “Take A Walk”: voglia da dancefloor, pulsante e spensierata. Brano eccezionale, seducente nel ritornello, capace di prendere immediatamente la scena. La formula sembrerebbe dunque appropriata, ma il ritmo generale è invece rallentato ed il livello generale ne va a risentire. Ne sono un esempio lampante le varie “Constant Conversation” ,”On My Way”, “Mirrored Sea”, ” Cry like a Ghost ” Episodi di ottima qualità , rifiniti ad arte nei loro frammenti elettro ““ pop ma poco coinvolgenti. Gossamer riprende quota con “I’ll Be Alright” e ” Carried Away”, la cui freschezza ed euforia viene scandita da da ritmi dreamy tanto da farli risultare i veri pezzi bomba anche se l’apice lo si raggiunge con la godibile “It’s Not My Fault, I’m Happy”, un pezzone pop dalla leggerezza melodica e dalla struttura compatta.

Finito l’ascolto è il momento di tirare le somme. Il potenziale è confermato, l’immediatezza e le forme sono salvaguardate, la qualità  rimane meravigliosa. A differenza di “Manners” c’è meno spontaneità  creativa, e manca il devastante impatto di quel fortunato debutto ma per i Passion Pit gli elogi restano sempre doverosi.