Vi state domandando in che condizioni versi l’indie-rock made in New York? Ecco a voi i DIIV.
Nati all’origine come Dive, nome tratto da una canzone dei Nirvana, poi mutato in DIIV, e dalla necessità del chitarrista Zacharay Cole Smith dei più noti Beach Fossils di dar vita a un progetto solista, ben presto il progetto si evolve in una vera e propria band e ad affiancare il (finto)biondo ecco quindi aggiungersi l’amico d’infanzia Andrew Bailey (chitarra), Devid Ruben Perez (basso) e Colby Hewitt già batterista degli Smith Westerns.
“Oshin” loro album di debutto, pubblicato dalla stessa Captured Tracks nel cui roster compaiono i sopracitati Beach Fossils, suona esattamente come ci si aspetterebbe guardando una qualsiasi foto che ritrae Smith&co. Un suono tossico e acido, in cui sopra è posata una patina di smog urbano, che rimanda a tratti al più melodico dream-pop, reso dai quattro più teso e cupo rispetto al format tradizionale, a tratti invece alla cosmicità del Krautrock o ancora alla più ‘frivola’ new-wave.
Le canzoni dei DIIV costruite sulla classica struttura strofa-ritornello poggiano interamente sull’intreccio tra voce riverberata, che rende i testi spesso indecifrabili, e jingle di chitarra graffianti; un post-rock tossico che sputa cemento e che riesce a fotografare il caos e il grigiore della metropoli da cui i quattro cercano di estraniarsi.
Ecco, ascoltando questo “Oshin” non vi resta che immaginarvi seduti sul tetto di un altissimo grattacielo Newyorkese, gambe a penzoloni nel vuoto, e con dinnanzi a voi nient’altro che un orizzonte grigio e nebbioso cui fa da cornice, in sottofondo, il tipico frastuono del traffico delle grande metropoli e ovviamente il ‘caos’ della musica targata DIIV.
Credit Foto: Bradley Golding