Non ho ben capito quale tipo di disagio ci fosse dietro il ritiro dalle scene di Moltheni di qualche anno fa. Allo stesso modo ero certo che prima o poi lo avremmo ritrovato. Così è andata in effetti, prima col progetto Pineda e poi col ritorno a sorpresa in chiave solista, questa volta a nome Umberto Maria Giardini. “La dieta dell’imperatrice” è una evoluzione dei precedenti lavori, un disco denso, profondamente radicato nel lirismo dell’ex Moltheni eppure dotato di una spinta diversa soprattutto nei passaggi strumentali. Partendo proprio da questi ultimi ci sono da segnalare un paio di gemme rabbiose in chiave post rock. Qualcosa a cui non eravamo abituati e che danno lustro ad un lavoro più maturo, forse meno malinconico ed intimista, più aperto ad una rabbia che sembrava sin troppo sopita.
La stessa spinta si avverte anche in alcuni brani cantati, in cui si avverte un’urgenza espressiva sicuramente più “violenta” che in passato. Quanto ai testi, c’è una strana ambivalenza che in parte, ma solo in parte, fa storcere il naso. Ad un lirismo elegante e di stampo classico fa da contraltare qualche anelito nichilista che sembra sia messo apposta per ribadire che “ok, ci so fare con i testi, ma ora ti metto un insensato fighe colanti per smarrire la direzione del tutto”. E’ come se nel contesto di liriche di un certo spessore, lui sorteggiasse random delle parole da mettere im mezzo per allentare la tensione e prendersi meno sul serio. Non possiamo sapere il perchè di questa strana tendenza, ma il risultato, seppur incerto in alcuni passaggi, non riesce ad intaccare la qualità piuttosto alta dell’intero lavoro.
Crediamo fermamente che sostenitori e detrattori del Nostro non si muoveranno di un millimetro dalle proprie posizioni. “La dieta dell’imperatrice” non sposterà gli equilibri del percorso artistico di Umberto Maria Giardini, ma è un tassello importante di una crescita artistica mai come in questo caso così tangibile e convincente.